Assegnazione casa coniugale in comodato gratuito c.d. precario

Il comodato”, ex art. 1803 c.c., “è il contratto con il quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile affinché se ne serva per un tempo o un uso determinato con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta” , obbligo che sorge “alla scadenza del termine convenuto”o in mancanza di termine, quando il comodatario “se ne è servito in conformità del contratto”.
Di particolare rilievo è poi la disposizione di cui all’art. 1809 c.c., comma 2, secondo la quale “ se però durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata” e dell’art. 1810 c.c. secondo cui “se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede”.
Ciò premesso, essendo uno strumento contrattuale molto utilizzato, si ritiene di particolare importanza analizzare il rapporto tra comodato e pronuncia di assegnazione della casa coniugale emessa a favore di uno dei coniugi comodatari in un procedimento di separazione.

In particolare, la questione che si vuol analizzare attiene alla sorte del contratto di comodato c.d. precario di immobile concesso dal genitore al figlio in vista del matrimonio e successivamente assegnato in sede di giudizio di separazione personale al coniuge affidatario dei figli minori.

Secondo le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 07.09.2004 n° 13603) “nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.“.
Successivamente però emergevano, sia in dottrina che in giurisprudenza, delle perplessità.
Un primo rilievo riguardava l’assunto secondo cui “quando un terzo concede in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni, senza loro colpa economicamente non autosufficienti, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile”.
Secondo i Giudici, infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resterebbe cioè regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale.
Un ulteriore profilo di perplessità veniva, inoltre, ravvisato nell’assunto secondo cui “ove il comodato fosse stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2”.
Ed infine, perplessità, venivano ravvisate nella considerazione “della durata della funzionalizzazione dell’immobile destinato a casa familiare”.
Con ordinanza n.15113 del 17/06/2013, i Giudici della Suprema Corte sono stati chiamati a pronunciarsi sulla sorte di un contratto di comodato c.d. precario.
In particolare, nel caso de quo, il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello dopo, avevano rigettato la domanda, proposta dal suocero nei confronti della nuora, di declaratoria di cessazione del comodato precario avente ad oggetto un immobile concesso al figlio perché vi abitasse con la famiglia e successivamente in sede di separazione personale assegnato alla moglie quale affidataria del figlio minore, con conseguente condanna al rilascio del medesimo, nonché al pagamento di compenso per il relativo godimento.
Avverso tali pronunce, il suocero proponeva ricorso per cassazione.
I Giudici della Suprema Corte, però, facendo proprie le perplessità emerse dalla dottrina e della giurisprudenza ed avvertendo, quindi, la necessità di rimeditare l’orientamento interpretativo delineato nella sentenza n° 13603/2004, disponevano la trasmissione alle Sezioni Unite affinché potessero intervenire nuovamente.
Al momento, pertanto, la questione sul se, come e quando il comodante possa ottenere la restituzione dell’immobile è ancora aperta.

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