Disturbo alla quiete pubblica – esclusione reato

Recentemente, la Suprema Corte (sentenza n. 47830 del 2 dicembre 2013), ha affermato che per potersi configurare la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) che recita “chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a € 309”, è opportuno che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano l’attitudine a diffondersi, in modo da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone. Tanto viene dedotto dalla natura del bene giuridico tutelato: la quiete pubblica e non la tranquillità di singoli soggetti che denunciano la rumorosità altrui.

Nella specie, con sentenza del 24 ottobre 2012 il Tribunale di Catania condannava C.R.A. alla pena di € 200,00 di ammenda in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 659 c.p. per avere disturbato, anche nelle ore notturne, il riposo e le occupazioni di alcuni vicini di casa, con emissioni sonore prodotte dai sistemi di amplificazione utilizzati per suonare la chitarra elettrica, oltre ad ascoltare la radio ad alto volume all’interno della propria abitazione (sita al quarto piano).

Avverso tale decisione proponeva ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione al reato contestato, nonché la contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza, in relazione alla ricostruzione della condotta tenuta dallo stesso.

La Corte di Cassazione, oltre ad osservare che la ricostruzione della condotta materiale non è stata effettuata in modo corretto dal Giudice di prime cure, che ha trascurato le prove a discarico (ritenendole non attendibili), rileva che, per configurare la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., secondo l’ormai costante indirizzo giurisprudenziale, (ex plurimis, Cass. pen. n. 3348/1995; Cass. pen. n. 47298/2011) è necessario che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano l’attitudine a propagarsi in modo da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone.

Pertanto, sottolineano gli ermellini, quando l’attività disturbante si verifica in un edificio condominiale, come nel caso di specie, per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente “non è sufficiente che i rumori, tenuto conto anche dell’ora notturna o diurna di produzione e della natura delle immissioni, arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti gli appartamenti inferiori o superiori rispetto alla fonte di propagazione, i quali se lesi, potranno fare valere le loro ragioni in sede civile, azionando i diritti derivanti dai rapporti di vicinato, ma deve ricorrere una situazione fattuale diversa, di oggettiva e concreta idoneità dei rumori ad arrecare disturbo alla totalità degli occupanti del medesimo edificio, oppure a quelli degli stabili prossimi, insomma ad un numero considerevole di soggetti. Soltanto in tali casi potrà dirsi turbata o compromessa la quiete pubblica”.

A tal principio di diritto”, conclude la Corte, “non si è attenuta la sentenza impugnata, di guisa che, non potendosi nel fatto ravvisare gli estremi della fattispecie penale contestata, se ne impone l’annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste”.

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