Esame delle urine e guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti

In primis, appare opportuno fare alcune precisazioni in merito alla contravvenzione di cui all’art. 187 Codice della Strada.
La condotta sanzionata dall’articolo de quo è “la guida in stato di alterazione psico-fisica a seguito dell’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope”.
Il più recente (e condivisibile) orientamento della Suprema Corte, oltre ad autorevole Dottrina, ha precisato quale sia l’elemento oggettivo del reato in esame:
…la condotta tipica del reato previsto dall’art. 187, comma 1 CdS NON è quella di chi guida DOPO avere assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato di alterazione psico-fisica determinato da tale assunzione.
Perché possa, dunque, affermarsi la responsabilità dell’agente NON è sufficiente provare che, precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida, egli abbia assunto stupefacenti, ma altresì che egli GUIDAVA IN STATO DI ALTERAZIONE CAUSATO DA TALE ASSUNZIONE
” (ex plurimis, Cass. Pen. n. 33312/2008).
Inoltre, il 2 comma dell’art. 187 CdS prevede che gli agenti “…possono sottoporre i conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi o a prove, anche attraverso apparecchi portatili…”; a norma dei comma 2 bis e 3 dello stesso articolo “…quando si ha ragionevole motivo di ritenere che il conducente del veicolo si trovi sotto l’effetto conseguente all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope…gli agenti di polizia… accompagnano il conducente presso strutture sanitarie fisse o mobili afferenti ai suddetti organi di polizia stradale ovvero presso le strutture sanitarie pubbliche o presso quelle accreditate o comunque a tali fini equiparate, per il prelievo di campioni di liquidi biologici ai fini dell’effettuazione degli esami necessari ad accertare la presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope. Le medesime disposizioni si applicano in caso di incidenti, compatibilmente con le attività di rilevamento e di soccorso…”.
Tale reato, pertanto, risulta integrato dalla concorrenza di due elementi, dei quali l’uno obiettivamente rilevabile dai presenti (lo stato di alterazione) e per il quale possono valere indici sintomatici, l’altro consistente nell’accertamento della presenza, nei liquidi fisiologici del conducente, di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope, a prescindere dalla quantità delle stesse, essendo rilevante NON il dato quantitativo (contrariamente a quanto previsto per l’art. 186 CdS “guida sotto l’influenza dell’alcool”), ma gli effetti che l’assunzione di quelle sostanze può provocare, in concreto, nei singoli soggetti (ex plurimis, Tribunale di Camerino, sentenza n. 277/2009).
E’ possibile, quindi, stabilire se un soggetto ha guidato sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope SOLO a seguito del concorso di due elementi qualificanti:

  • Il primo basato su indici sintomatici, che possono essere rilevati e annotati in loco direttamente dalle Forze dell’Ordine (es. dichiarazione confessoria spontanea, occhi rossi, pupille dilatate, sonnolenza, lentezza nei riflessi, nervosismo, stato confusionale, eccessiva sudorazione…) e che devono, comunque, essere certificati da una visita medica-neurologica ad hoc, “volta ad accertare la perduranza dello stato di alterazione psico-fisica dovuta all’assunzione di sostanze stupefacenti”.
  • Il secondo basato su accertamenti scientifici effettuati, come abbiamo visto nell’immediatezza del fatto, sui liquidi biologici del conducente dell’autovettura in apposite strutture sanitarie.

Ai fini della sussistenza della contravvenzione in parola devono essere soddisfatte entrambe le condizioni; l’esito positivo, infatti, di uno solo dei due accertamenti NON è sufficiente a provare la guida in stato di alterazione.
In particolare “…non è sufficiente il solo accertamento scientifico sui liquidi fisiologici del conducente, poiché la semplice presenza di tracce di cannabinoidi nelle urine… NON può rappresentare, da sola, la prova dell’alterazione delle sue condizioni psico-fisiche…determinata da una assunzione di sostanza stupefacente in epoca tale da influire sul suo equilibrio psico-fisico. Come è noto, infatti, le sostanze stupefacenti possono rimanere nelle urine del soggetto che le ha assunte, anche per giorni dopo l’assunzione e tale presenza, in sé e per sé considerata, NON COMPORTA, AUTOMATICAMENTE, L’ALTERAZIONE DELLE CONDIZIONI PSICO-FISICHE PREVISTE DALL’ART. 187 CDS…” (Tribunale di Genova, sentenza n. 3327/2009).
Si aggiunge che studi e ricerche in materia hanno accertato (da tempo) che la “positività urinaria” alle sostanze stupefacenti non dimostra l’attualità dell’uso delle stesse e, conseguentemente, una alterazione psico-fisica da loro assunzione.
In particolare, il “Protocollo operativo droga” del Ministero della Salute, dedicato agli accertamenti di cui all’art. 187 CdS, definisce le matrici biologiche utilizzabili per gli esami de quibus (sangue, urina e saliva) e indica “l’indispensabilità del controllo sul sangue, sostituibile dalla saliva in caso di diniego al prelievo ematico” , attribuendo all’esame delle urine una valenza decisamente secondaria e la sua sostanziale inadeguatezza a provare lo stato di alterazione del soggetto alla guida, dal momento che i metaboliti delle varie sostanze stupefacenti sono rilevabili nelle urine, con valori che indicano “positività” (concentrazioni superiori ai 50 mg/l), anche a distanza di diversi giorni dall’assunzione, quando, cioè gli effetti della sostanza stessa sono ampiamente scemati.
Infatti, “…l’accertamento della presenza nelle urine di sostanza cannabinoidi, se certamente comprova una pregressa assunzione di detta sostanza, non è peraltro parimenti dimostrativa dell’attuale sussistenza –al momento della guida- dello stato di alterazione, in quanto può ritenersi alla stregua di fatto notorio che la presenza di metaboliti costituisce la fase successiva sia al momento dell’assunzione della sostanza, sia al periodo di efficacia del principio attivo, costituendo essa il momento in cui l’organismo umano “espelle” le scorie metaboliche conseguite all’assunzione della sostanza da parte del soggetto…” (Tribunale di Ferrara, sentenza n. 751/2009).
Tutto ciò sta, inequivocabilmente, a significare che la positività rilevata tramite test delle urine attraverso tecniche di screening (pratica diffusa perché attuabile rapidamente impiegando metodiche di tipo immunochimica completamente automatizzate) non può costituire prova certa, al di là di ogni ragionevole dubbio, di uno stato di alterazione da stupefacenti che costituisce il proprium del reato di cui all’art. 187 CdS, che sanziona (come abbiamo già avuto modo di analizzare) la condotta del soggetto che “…guida in stato di alterazione psico-fisica dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope…” e cioè quando è ancora sotto l’effetto della sostanza che determina la riduzione della capacità di guida e mette in serio pericolo l’incolumità degli altri utenti della strada, che l’articolo de quo tende a tutelare.
Di conseguenza, per poter stabilire, con certezza, che un individuo si trovi nello stato di alterazione richiesto dalla lettera della norma, è necessario che le indagini tossicologiche vengano eseguite su prelievo ematico e non soltanto –come avviene nella maggior parte dei casi- sul campione di urine (poco attendibile); infatti, solo a seguito del rinvenimento nel sangue (prelevato al conducente al momento del fermo) del principio attivo della sostanza stupefacente si può affermare che il soggetto si trovasse alla guida della propria autovettura sotto l’effetto di tale sostanza…

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