Il divieto di concorrenza dopo la cessione di azienda

In via preliminare occorre considerare che quando si parla di azienda ci si riferisce ad un complesso di beni tra loro coordinati ed organizzati finalizzati all’esercizio di un’attività produttiva.

Sul divieto di concorrenza e sui suoi limiti

Detta opera di coordinamento e di organizzazione dei beni svolta dall’imprenditore attribuisce all’azienda un maggior valore detto avviamento che si traduce nell’attitudine dell’azienda a produrre reddito.

Colui che acquista un’azienda già avviata è tenuto a corrispondere al venditore una somma quale corrispettivo per l’avviamento.

A tutela dell’acquirente di azienda, la legge stabilisce uno specifico divieto di concorrenza a carico del venditore, al fine di evitare che la capacità dell’azienda acquistata a produrre reddito venga compromessa dalla condotta dello stesso alienante, mediante l’apertura di un’altra azienda che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta.”

Detto divieto, salvo deroghe delle parti, ha una durata massima di cinque anni dal trasferimento (art. 2557 Codice Civile).

Dall’analisi del testo dell’articolo 2557 Codice Civile, si comprende come i parametri da analizzare ai fini della valutazione dell’idoneità della nuova impresa a sviare la clientela dell’azienda ceduta siano “l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze.”

Il termine impiegato dal legislatore “altre circostanze” fa sì che l’elencazione dei suddetti parametri non sia tassativa ma ammetta ulteriori considerazioni da parte dell’organo giudicante chiamato a svolgere detta valutazione.

Ed infatti, secondo giurisprudenza “il divieto sancito dalla norma assume carattere di relatività: nel senso che, pur nel limite temporale da essa previsto (cinque anni) e pur nell’ambito della medesima attività mercantile, l’operatività del divieto rimane subordinata a un giudizio di “idoneità” (della nuova impresa a sviare la clientela di quella ceduta) che va apprezzato caso per caso dal giudice con riguardo all’ubicazione (della nuova impresa) e ad ogni altra circostanza influente e che non può, per sua stessa natura, non assumere carattere discrezionale” (Cass. Civ. n. 2257/1974).

Questo comporta che una decisione data dal giudice ben motivata, difficilmente potrà essere oggetto di censura attraverso impugnazione del provvedimento nei successivi gradi di giudizio poiché in questo settore lo spazio di discrezionalità concesso al giudice risulta essere molto ampio.

Nel caso di contestazioni mosse dall’acquirente che non si risolvano in sede stragiudiziale, risulta difficile ipotizzare a priori se la nuova attività, una volta sottoposta al vaglio dell’Autorità Giudiziaria, potrà definirsi vietata perché concorrenziale, ai sensi del divieto in esame.

Considerando, comunque, gli indici che la norma stessa pone di esaminare ai fini di effettuare detta valutazione, risulteranno vietate le fattispecie nelle quali, ad esempio, gli articoli o i beni trattati sono i medesimi di quelli dell’azienda oggetto di trasferimento, ma certamente non può applicarsi tale divieto qualora, pur in presenza di un’identità merceologica, la nuova attività del cedente sia ubicata in luoghi lontani e tali da non incidere sul medesimo bacino d’utenza, ovvero ancora abbia come oggetto l’esercizio di un’attività diversa e del tutto svincolata da quella ceduta.

Altro fattore che in genere può essere preso in considerazione (nell’ottica delle “altre circostanze” previste dalla norma in esame) è quello della densità delle attività commerciali della stessa tabella merceologica presenti sul territorio.

Infatti proprio questo aspetto ha indotto il Tribunale di Salerno a qualificare come non concorrenziale la condotta di chi – alienante di un’azienda di bar gelateria sul lungomare salernitano – ha aperto una nuova gelateria distante un chilometro e mezzo da quella ceduta che seppur effettivamente analoga a quella svolta dal cessionario e certamente diretta alla commercializzazione di prodotti rientranti nella stessa tabella merceologica, risultava situata in quartiere di alta densità demografica e con elevatissima concentrazione di attività commerciali della stessa tipologia (Trib. Salerno, Sez. I civile, sent.  9-03-2010).

Altro fattore che può essere preso in considerazione ai fini dell’accertamento in questione è quello del decorso del tempo tra l’avvenuta cessione dell’azienda e l’apertura della nuova attività ad opera dell’alienante.

Infatti, fermo restando che il divieto opera solamente qualora la nuova attività inizi a meno di cinque anni dalla cessione, qualora ciò avvenga facendo decorrere parecchio tempo dalla cessione (per esempio a distanza di tre anni) il pericolo dello sviamento della clientela deve ritenersi affievolito rispetto all’ipotesi dell’apertura della nuova attività quasi contestuale alla cessione.

Infatti, qualora siano decorsi alcuni anni, i clienti sebbene in grado di venire a conoscenza dell’apertura della nuova attività da parte di colui che la esercitava nei locali ora gestiti dall’acquirente, potrebbero ormai aver costituito con quest’ultimo un rapporto tale da impedire l’interruzione del legame commerciale ormai consolidatosi.

Sulle possibili conseguenze derivanti dalla violazione del divieto di concorrenza

Qualora l’acquirente riscontrasse una condotta ritenuta in contrasto con il suddetto divieto, in presenza del solo danno potenziale potrebbe ricorrere all’Autorità Giudiziaria anche in via d’urgenza (ossia con un procedimento molto più rapido rispetto a quello ordinario) affinché una volta accertata l’effettiva violazione, venga inibita la continuazione nell’esercizio della suddetta attività di impresa, oltre al diritto al risarcimento del danno subito (in termini di affari sfumati) se effettivamente dimostrato.

Nei casi più gravi l’acquirente, in forza dell’accertato suddetto inadempimento contrattuale, potrebbe ottenere dal Giudice la declaratoria di risoluzione del contratto di cessione di azienda, salvo anche in questo caso il risarcimento dei danni.

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