La collaborazione a progetto

La Riforma Fornero ha introdotto delle novità inerenti la disciplina delle collaborazioni a progetto.

In particolare, con la modifica dell’art.61, comma 1, del D.Lgs n.276/2003, si afferma che le collaborazioni coordinate e continuative prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art.409 n.3 c.p.c., debbono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore.

Ai sensi dell’art.61, comma 1, del D.Lgs n.276/2003 “il progetto deve essere funzionalmente collegato a un determinato risultato finale e non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente, avuto riguardo al coordinamento con l’organizzazione del committente ed indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi e ripetitivi che possono essere individuati nei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Il Ministero del Lavoro, con la circolare n.29 del dicembre 2012 ha chiarito i contorni di tale fattispecie contrattuale.

Per il Ministero, il progetto deve necessariamente indicare l’attività prestata dal collaboratore in relazione alla quale si attende il raggiungimento di un determinato risultato obbiettivamente verificabile. Il progetto deve essere specifico: pertanto, pur potendo rientrare nel ciclo produttivo dell’impresa e in attività che rappresentano il c.d. core business aziendale deve essere caratterizzato da una autonomia di contenuti e obbiettivi.

Inoltre, è necessario che dal contenuto del contratto, ovvero dalle modalità di svolgimento della prestazione, non emergano i caratteri della “routinarietà” o “elementarietà”. Al riguardo, il Ministero precisa che “i compiti meramente esecutivi” sono quelli caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito, anche di volta in volta, dal committente senza alcun margine di autonomia anche operativa dal parte del collaboratore. Per quanto riguarda “i compiti meramente ripetitivi” il concetto di “ripetitività” indica quelle attività rispetto alle quali non è necessaria alcuna indicazione da parte del committente.

Secondo il Ministero “deriva la possibilità di riconoscere una vera e propria collaborazione a progetto solo nella misura in cui al collaboratore siano lasciati margini di autonomia anche operativa nello svolgimento dei compiti allo stesso assegnati”.

Nel caso in cui l’attività del collaboratore si svolga con modalità analoghe a quelle dei lavoratori dipendenti dell’impresa committente, anche in caso di esistenza di un effettivo progetto, la collaborazione è considerata rapporto di lavoro subordinato fin dalla data di costituzione del rapporto.

Occorre, poi, specificare che anche la mancata individuazione di un progetto può determinare la conversione del rapporto in lavoro subordinato.

Ed infatti, ai sensi dell’art.69, comma 1, “i rapporti di collaborazione continuata e continuativa istaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.

Occorre, pertanto, prestare particolare attenzione alla redazione del contratto di collaborazione a progetto.

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