Legge n. 219/2012: equiparazione tra figli legittimi e figli naturali

Finalmente, dopo anni di discussione, è stata approvata una Legge che costituisce un importante punto di innovazione: non esistono più i figli con aggettivi, cioè legittimi o naturali, ma i figli sono tutti uguali. E’ una nuova civiltà giuridica. Questo è uno di quei passi in avanti che fanno entrare il nostro Paese in un’altra epoca storica”, ha affermato la senatrice pd Vittoria Franco.
Il 1 gennaio 2013, infatti, è entrata in vigore la Legge 219 del 10 dicembre 2012 che ha introdotto notevoli cambiamenti al riconoscimento della filiazione eliminando dal nostro ordinamento le residue distinzioni tra figli legittimi e figli naturali e affermando il principio dell’unicità dello status giuridico dei figli, indipendentemente dal legame dei loro genitori, nel rispetto della Costituzione Italiana e delle normative sovranazionali.
Innanzitutto, la nuova Legge stabilisce il principio della completa equiparazione tra figli legittimi e figli naturali, sostituendo a tali parole quelle di “figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio”, secondo la terminologia già utilizzata nell’art. 30 della Costituzione:…è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio…la Legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima…”.
L’equiparazione dei figli è consacrata sia in materia di successione e di donazioni, sia per quanto attiene il diritto di ogni figlio di intrattenere rapporti con i parenti del/dei genitore/i.

Le novità più importanti sono:

  1. Art. 74 c.c. (Parentela): “…la parentela è il vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio sia adottivo…” .
    La legge, pertanto, riconosce ai figli naturali ed ai figli adottivi, con l’eccezione dell’adozione di persone maggiori di età, un vincolo di parentela non solo con i genitori, ma con tutti i parenti (nonni, zii, cugini…).
    E’ evidente che tale parificazione avrà ripercussioni anche ai fini ereditari.

  2. Art. 250 c.c. (Riconoscimento): “…il figlio nato fuori dal matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’art. 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente…”.
    Inoltre, si riduce da 16 anni a 14 anni l’età a partire dalla quale il riconoscimento del figlio non produce effetto senza il suo assenso ed il riconoscimento del figlio che non abbia compiuto 14 anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato tale riconoscimento.

  3. Art. 251 c.c. (Autorizzazione al riconoscimento –figli incestuosi)
    La riforma consente, in ogni caso, il riconoscimento del figlio incestuoso, previa autorizzazione del Giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare qualsiasi pregiudizio allo stesso.

  4. Art. 315 c.c. (Stato giuridico della filiazione): “tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.

  5. Art. 315 bis c.c. (Diritti e doveri del figlio): “il figlio ha diritto ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni 12, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
    Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanza e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa
    ”.
    In tutti gli articoli del Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali” ovunque ricorrono sono sostituite dalla seguente: “figli” (art. 11 della riforma).

A livello procedurale, la nuova normativa ridetermina le competenze tra Tribunale Ordinario e Tribunale per i Minorenni in materia di procedimenti di affidamento e mantenimento dei figli (in particolare, la competenza dell’art. 317 bis c.c. viene sottratta al Tribunale per i Minorenni ed attribuita al Tribunale Ordinario), suscitando non poche perplessità, in tema di tutela del minore, tra gli addetti ai lavori.
Nello specifico, l’art. 3 della Legge detta una nuova formulazione dell’art. 38 disposizioni attuative al Codice Civile:
sono di competenza del Tribunale per i Minorenni i provvedimenti contemplati dagli articoli 84, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma, del Codice Civile. Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del Tribunale per i Minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.; in tale ipotesi per tutta la durata del processo la competenza, anche per i provvedimenti contemplati dalle disposizioni richiamate nel primo periodo, spetta al Giudice Ordinario. Sono emessi dal Tribunale Ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e seguenti c.p.c.. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il Tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il Giudice disponga diversamente…”.
Infine, sempre allo scopo di eliminare ogni discriminazione tra i figli nel rispetto dell’art. 30 della Carta Costituzionale, la riforma conferisce una delega al Governo per la modifica delle disposizioni in materia di filiazione e di dichiarazione dello stato di adottabilità.
Il termine di esercizio della delega è di 1 anno dall’entrata in vigore della Legge.

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