Responsabilità della Pubblica Amministrazione per incidenti stradali

Alcune recenti sentenze della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. III n. 3651 del 20/02/06 e Cass. civ. Sez. III n. 15383 del 06/07/06) hanno fatto il punto sul tema della responsabilità della pubblica amministrazione per danni da manutenzione stradale, rivelando un orientamento più favorevole, rispetto al consolidato orientamento precedente, per la parte che abbia subito un danno a causa dell’omessa o insufficiente manutenzione di opere pubbliche.
Ed infatti l’orientamento che si era formato in giurisprudenza (anche della Suprema Corte) permetteva il risarcimento del danno subito a causa di cattiva manutenzione delle strade o di lavori pubblici solo in presenza di ciò che veniva indicato come “insidia o trabocchetto”, ovvero in presenza di elementi recanti i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità del pericolo, oltre alla semplice prova della presenza del pericolo medesimo e del nesso di causalità tra esso ed il danno subito. In assenza di tale ulteriore elemento, era presunta una colpa o concorso di colpa dell’utente nella causazione del danno, colpevole di non aver evitato il danno (visibile ed evitabile) usando la normale diligenza.
Questa impostazione comportava che la prova della presenza di un’insidia o trabocchetto restava a carico del danneggiato, il quale si trovava così costretto a provare, oltre al danno ed al nesso causale tra danno ed insidia, l’ulteriore requisito della oggettiva imprevedibilità e inevitabilità dell’insidia medesima.
Le recenti sentenze della Corte di Cassazione citate, rilevando che tale ulteriore prova richiesta avesse una matrice meramente giurisprudenziale e che tale limitazione di responsabilità fosse un ingiustificato privilegio per la P.A. nei confronti del danneggiato, in assenza di previsioni legislative in merito che giustificassero tale limitazione di responsabilità, con la sentenza n. 15383 e la successiva sentenza n. 15384 entrambe del 06 luglio 2006, ha stabilito che “La responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per i danni cagionati da cose in custodia, anche nell’ipotesi di beni demaniali in effettiva custodia della p.a., ha carattere oggettivo e, perché tale responsabilità possa configurarsi in concreto, è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, per cui tale tipo di responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa (che ne è fonte immediata), ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità e che può essere costituito anche dal fatto del terzo o dello stesso danneggiante”.
Peraltro, limitando la portata innovativa dell’interpretazione e del favore al danneggiato che tale interpretazione legittimava, ha aggiunto che il criterio sopra enunciato non è operabile ove si ravvisi l’oggettiva impossibilità dell’esercizio di controllo sul bene a causa della notevole estensione e dull’uso generale e diretto da parte di terzi.
La Corte ha infatti affermato che: “La presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 cod. civ., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile – all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto – esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell’impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia deve essere esaminata non soltanto con riguardo all’estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. Ne deriva che, alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all’art. 2 del d.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all’art. 2 del d.lgs. n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l’applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche. In quest’ottica, per le strade comunali – salvo il vaglio in concreto del giudice di merito – circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune”.
Nei casi in cui non è possibile applicare la responsabilità ex art. 2051 c.c., il danneggiato potrà far valere la responsabilità della P.A. ai sensi dell’art. 2043 c.c.. Infatti: “In tema di responsabilità per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell’art. 2051 cod. civ., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia sul bene demaniale, l’ente pubblico risponde dei danni subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., che non prevede alcuna limitazione della responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. In tal caso graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene demaniale (come, ad esempio, della strada), che va considerata fatto di per sé idoneo – in linea di principio – a configurare il comportamento colposo della P.A., sulla quale ricade conseguentemente l’onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia”.

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