Sul diritto di abitazione della casa coniugale

Il diritto di abitazione è disciplinato dall’art. 1022 c.c. e consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia.
Unica ipotesi di costituzione legale del diritto di abitazione è quella prevista all’art. 540 c.c. secondo il quale “al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano se di proprietà del defunto o comuni”.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che “il diritto reale di abitazione, riservato per legge al coniuge superstite, ha ad oggetto la casa coniugale, ossia l’immobile che, in concreto, era adibito a residenza familiare. Poiché, dunque, l’oggetto del diritto di abitazione mortis causa coincide con la casa adibita a residenza familiare, esso si identifica con l’immobile in cui i coniugi – secondo la loro determinazione convenzionale, assunta in base alle esigenze di entrambi – vivevano insieme stabilmente, organizzandovi la vita domestica del gruppo familiare” (Cass. Civile n.4077/2012).

Di recente, i Giudici della Suprema Corte sono stati chiamati a pronunciarsi sulla sussistenza in capo al coniuge separato del diritto di abitazione ex art. 540 c.c. sulla casa già adibita ad abitazione coniugale e il diritto d’uso sui relativi mobili.

Come noto, l’art. 548 c.c. equipara, quanto ai diritti successori attribuiti dalla legge, il coniuge separato senza addebito al coniuge non separato; pertanto, anche in favore del coniuge separato senza addebito, devono riconoscersi i diritti di abitazione e di uso di cui al secondo comma dell’art.540 c.c..

Secondo i Giudici, però, “in conformità del prevalente orientamento della dottrina deve ritenersi che, in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare fa venire meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola. Se infatti, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare, è evidente che l’applicabilità della norma in esame è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare; evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi”.

I Giudici della Suprema Corte concludono, quindi, che se viene meno il collegamento con l’originaria destinazione della casa di abitazione a “residenza abituale” si deve ritenere che il coniuge superstite perda il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili).
Nel caso esaminato, occorre precisare che il coniuge superstite non occupava più la casa a suo tempo adibita ad abitazione familiare, avendo trasferito altrove la propria residenza da alcuni anni; qualora, al contrario, il coniuge superstite avesse abitato la casa coniugale, in forza di un provvedimento di assegnazione, non sarebbe stato possibile derogare alla previsione di legge.

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