Sulla locazione di immobile da parte di un solo comproprietario

Le Sezioni Uniti della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione della qualificazione giuridica del rapporto tra comproprietari nel caso di locazione stipulata da uno di essi con riferimento alla produzione (o esclusione) degli effetti del contratto in capo al comproprietario non locatore.
Ed infatti, X, in qualità di comproprietaria, nella misura della metà, di un immobile adibito ad uso commerciale, locato dall’altra comproprietaria Y a Z, chiedeva, con ricorso ex art. 447-bis c.p.c. l’accertamento del diritto a ricevere metà del canone di locazione e la condanna del conduttore al pagamento di tale quota a far data dalla domanda giudiziale.
Si costituiva in giudizio il conduttore, Z, assumendo di essere tenuto esclusivamente a pagare unitariamente il canone alla locatrice secondo il vincolo contrattuale assunto, dichiarandosi, comunque, disponibile a stipulare un nuovo contratto con entrambe le comproprietarie o a provvedere al versamento del canone su un libretto postale o bancario.
Anche la locatrice, Y, si costituiva chiedendo il rigetto delle domande e proponendo, in via subordinata, domanda riconvenzionale volta alla condanna dell’attrice al risarcimento dei danni.
Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda di parte attrice ritenendo “applicabile alla fattispecie il modello negoziale del mandato senza rappresentanza, ed in particolare, l’art.1507 c.c., che consente al mandante, sostituendosi al mandatario, di esercitare i diritti di credito derivanti dal mandato” e condannava il conduttore a corrispondere all’attrice il 50% dei canoni maturati dalla domanda fino alla cessazione della locazione, oltre gli interessi legali sui canoni scaduti dalle scadenze al saldo; respingeva, altresì, le domande riconvenzionali della locatrice, compensando, tra le parti, le spese processuali.
La sentenza veniva, però, impugnata, in via principale dal conduttore, il quale deduceva che il Tribunale aveva errato nel fare riferimento, ai fini della decisione, agli istituti della comunione e del mandato. Resistevano all’impugnazione sia X che la locatrice, Y.
La Corte d’Appello di Genova, in riforma della pronuncia di primo grado, respingeva la domanda proposta da X “non condividendo la soluzione adottata dal Tribunale che aveva fondato la propria decisione sull’art. 1705 c.c., secondo comma, a norma del quale, nel mandato senza rappresentanza il mandante può agire contro il terzo per ottenere il soddisfacimento dei crediti sorti a favore del mandatario stesso in relazione alle obbligazioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto, in tal modo sostituendosi al mandatario e ponendo in essere una revoca tacita del mandato”.
In particolare, la Corte d’Appello riteneva che “l’indicata disposizione non fosse stata citata in modo pertinente, atteso che nella fattispecie non poteva ravvisarsi alcun mandato, ma una gestione del presunto interesse comune (validamente ed efficacemente compiuta, se del caso, anche all’insaputa degli atri interessati), fondata, nei rapporti tra l’autore della gestione e i destinatari dell’utilità di essa, sulla disciplina interna della comunione, rispetto alla quale il terzo, che abbia validamente conseguito la posizione giuridica di conduttore, versava in condizione di indifferenza e della cui evoluzione non poteva ricevere alcun pregiudizio. Pertanto, fino a quanto la struttura soggettiva della parte locatrice non fosse stata modificata con l’ingresso nella medesima del comproprietario originariamente non locatore, quest’ultimo non poteva esigere, nemmeno limitatamente alla parte corrispondente alla propria quota, il pagamento del canone nei confronti del conduttore”.
A seguito della riforma della sentenza di primo grado, X proponeva, quindi, ricorso in Cassazione.
La seconda sezione della Corte disponeva, però, la rimessione alle Sezioni Unite ritenendo la questione della qualificazione giuridica del rapporto tra i comproprietari questione di particolare importanza.
Sulla questione, negli orientamenti di legittimità, si ritrovano tre indirizzi: mandato senza rappresentanza – esercizio diretto da parte del mandante locatore non comproprietario del diritto di esigere la quota del canone corrispondente alla titolarità del diritto reale pro quota; gestione utile nell’interesse comune con esclusione di qualsiasi interferenza del comproprietario non locatore nell’esercizio dei diritti contrattuali; equivalenza dei poteri gestori dei comproprietari in ordine al bene comune, anche quando uno solo dei comunisti ne abbia trasferito il diritto di godimento.
Ed infatti: “con riferimento all’applicabilità dell’art. 1795 c.c. ai rapporti di locazione, sul quale si è fondato il giudice di primo grado, esiste un orientamento secondo il quale il proprietario di un immobile locato ad un terzo da un suo mandatario senza rappresentanza può, nel revocare il mandato, esercitare, ex art. 1705 c.c., secondo comma, ogni diritto di credito derivante dal rapporto negoziale nonché essere legittimato ad agire in giudizio per la riscossione del canone.
Il mandante ai sensi dell’art. 1705 c.c. esercita in via diretta e non surrogatori ai diritti di credito insorti in capo al mandatario sulla base del contratto concluso, con la sola condizione di non pregiudicarlo […]. L’altro orientamento sul quale, invece, si è fondato il giudice di secondo grado, formatosi specificatamente in tema di comunione e di diritti di comproprietario non locatore, ha configurato la fattispecie come gestione utile nell’interesse comune. I rapporti tra l’autore della gestione, che può aver validamente agito anche all’insaputa di altri comunisti, sono direttamente ed esclusivamente regolati dalle norme della comunione e non possono incidere sulla sfera giuridica del terzo che rimane vincolato in via esclusiva con il locatore e non può subire interferenze o pregiudizio dai rapporti tra i comunisti stessi. La locazione svolge pienamente i suoi effetti anche quando il locatore abbia violato i limiti dei poteri che spettano ex art. 1105 c.c. e seguenti, essendo sufficiente ai fini della stipula della locazione che abbia la disponibilità della cosa locata.
Gli altri comproprietari non possono agire per il rilascio o la rivendica del bene, salvo il diritto al risarcimento del danno nei confronti dell’altro comunista. Secondo questa impostazione, il pagamento del canone nelle mani del locatore ha pieno effetto liberatorio mentre l’altro comproprietario non è legittimato ad agire in giudizio per esercitare questo diritto.
Questa conclusione, però, contrasta con il più recente ma consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale sugli immobili oggetto di comunione, in difetto di prova contraria, concorrono poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno operi con il consenso degli altri. Da queste premesse, consegue che, ogni comproprietario è legittimato a stipulare il contratto ma anche ad agire per il rilascio dell’immobile comune senza che sia necessaria la partecipazione degli altri condomini
”.
Dopo aver esaminato i diversi orientamenti ora richiamati, il Collegio ha ritenuto di dover ricondurre la fattispecie in esame nell’abito di applicazione delle disposizioni concernenti la gestione di affari altrui, consentendo tale disciplina di offrire una soluzione che valga a contemperare gli interessi e le posizioni dei vali soggetti coinvolti.
La gestione di affari altrui consiste “nel compimento di atti giuridici spontaneamente ed utilmente posti in essere dal gestore nell’altrui interesse in assenza di ogni rapporto contrattuale in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui” (Cass. Civile n.18626 del 2003).
In conclusione, le Sezioni Unite hanno ritenuto che “ la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto”.
In particolare, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e, ai sensi dell’art. 1705 c.c., secondo comma, applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nell’art. 2032 c.c. esigere dal conduttore, in via diretta, la parte dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa.

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ARTICOLO PUBBLICATO SULLA RIVISTA IL GIUDICE DI PACE DI IPSOA EDITORE

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