Il perdono giudiziale

Il perdono giudiziale è previsto e disciplinato dall’art. 169 c.p.: “se, per il reato commesso dal minore degli anni diciotto, la legge stabilisce una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a € 1.549,37, anche se congiunta a detta pena, il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio, quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133 c.p. presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati…”.
Tale istituto di diritto sostanziale si pone, pertanto, come una causa estintiva del reato, facendo venire meno la punibilità, in astratto, del fatto commesso ed accertato, pur comportando, in concreto, un positivo accertamento della responsabilità penale dell’imputato.
Innanzitutto, per la concessione del beneficio de quo, è necessario che il colpevole, all’epoca del commesso reato, non abbia superato gli anni diciotto; deve, però, avere compiuto gli anni quattordici, perché al di sotto di tale età egli non è imputabile e, quindi, non assoggettabile a pena.
Un’ulteriore condizione è che la pena che in concreto il giudice avrebbe inflitto (e non quella comminata in astratto dalla Legge), tenendo conto di tutte le diminuzioni che possono competere all’imputato, sia per la minore età, sia per le circostanze attenuanti che eventualmente ricorrano, non deve essere superiore ai due anni di reclusione o arresto.
Inoltre, la concessione del perdono giudiziale, presuppone un giudizio prognostico (e discrezionale) sul futuro comportamento del minore e, quindi, la convinzione da parte del giudice che la mancata irrogazione della pena sia un contributo al recupero sociale dello stesso.
Tale valutazione presuppone l’esame del fatto-reato e un’attenta analisi della personalità del minore, secondo i parametri indicati nell’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere: motivi, carattere del reo, precedenti, condotta, condizioni di vita e familiare…).
Lo stato rinuncia, pertanto, alla sua potestà punitiva, privilegiando per ragioni di opportunità le esigenze rieducative del minore [1], una volta considerata una positiva evoluzione della sua personalità e la non necessità di porre in essere ulteriori interventi di rieducazione.
Assume rilievo, pertanto, la condotta del minorenne successiva alla commissione del fatto delittuoso, in particolare: il completamento del ciclo di studi, l’inserimento nel mondo del lavoro e il non avere commesso altri reati.
Il terzo comma dell’art. 169 c.p., richiamando l’art. 164, comma 2, n. 1 c.p., dispone che il perdono giudiziale non può essere concesso a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale.
Infine, il comma 4 del suddetto articolo, sancisce la non concedibilità dell’istituto in parola per più di una volta.
Sul punto è intervenuta però, in più occasioni, la Corte costituzionale che ha ampliato i margini entro i quali il beneficio può essere accordato: con la sentenza n. 108/1973, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 169 c.p. nella parte in cui non consente che il perdono possa estendersi ad altri reati che si legano con il vincolo della continuazione a quelli per i quali è stato concesso il beneficio; successivamente con sentenza n. 154/1976 (ordinanza n. 274/1976) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma (per contrasto con l’art. 3 Cost.) nella parte in cui esclude che possa concedersi un nuovo perdono giudiziale in caso di reato commesso anteriormente alla prima sentenza di perdono, e di pena che, cumulata con quella precedente, non superi i limiti di applicabilità del perdono.
Quanto agli effetti, il perdono giudiziale estingue immediatamente il reato e non è revocabile.

NOTA

[1] Come spiega la Relazione al progetto definitivo [n. 181], col beneficio in parola, attraverso una deviazione della linea logica del sistema retributivo, si mira “ad assicurare il trionfo di una più alta esigenza: quella di salvare dalla perdizione giovani esistenze e favorire in tal caso il progetto civile, rendendo sempre migliori, materialmente e moralmente, le condizioni della convivenza sociale”. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, pag. 781.

Per una consulenza professionale non esitare a contattarci: info@iltuolegale.it

Non si effettua consulenza legale gratuita.

E’ assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato.

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *