Con ordinanza n.4202/2020 la Cassazione ha ritenuto legittima la decisione dell’assicurazione di non rimborsare le spese legali sostenute da una cliente che si è avvalsa da un avvocato diverso dal suggerito.
La vicenda professionale
Un’odontoiatra è stata convenuta in giudizio per responsabilità professionale medica da parte di una paziente: la professionista si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto delle domande del paziente, il pagamento dei compensi dovuto e chiamando in garanzia la propria compagnia assicuratrice.
I giudici di primo grado hanno accolto la domanda del danneggiato rigettando quella dell’odontoiatra, condannando l’assicurazione della professionista al pagamento delle somme dovute a titolo di risarcimento al paziente, ma non quelle per le spese legali sostenute dalla stessa.
La professionista decide di ricorrere in appello sostenendo l’applicazione dell’art. 1917 c.3 c.c. (<<Le spese sostenute per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato sono a carico dell’assicuratore nei limiti del quarto della somma assicurata. Tuttavia, nel caso che sia dovuta al danneggiato una somma superiore al capitale assicurato, le spese giudiziali si ripartiscono tra assicuratore e assicurato in proporzione del rispettivo interesse>>), non applicato in primo grado poiché le condizioni generali del contratto avevano previsto il pagamento delle spese legali solo in relazione ad avvocati indicati dall’assicurazione, mentre l’odontoiatra si era avvalsa di un avvocato di fiducia.
Esaminati gli atti, il giudice rigetta l’appello considerando la clausola pattizia compatibile con l’art. 1917 c.c.. La ricorrente decide allora di ricorrere in Cassazione.
Il principio di diritto
Secondo la giurisprudenza moderna, l’obbligo dell’assicurazione di tenere indenne l’assicurato dalle spese di lite rappresenta un’obbligazione accessoria rispetto alla principale: l’obbligo è però escluso quando l’assicurato ha scelto di difendersi senza averne un reale interesse o senza poter ricavarne un’utilità (Cass. 5470/2019). L’art. 1917 c.3 c.c. si riferisce alle spese sostenute “per resistere all’azione del danneggiato contro l’assicurato” escludendo quelle che sono state sostenute non per attività di resistenza alle pretese del terzo, ma per attività complementare ad essa (Cass. 10595/2018 e 14107/19).
Inoltre l’art. 1917 può essere derogato solo in senso più favorevole per l’assicurato: proprio per questo motivo l’odontoiatra ha sostenuto nulla la clausola contenuta nelle condizioni generali del contratto stipulato con la propria assicurazione (che citava: “la società non riconosce spese incontrate dall’assicurato per legali o tecnici che non siano stati da essa designati”) e ha chiesto la condanna dell’assicurazione al rimborso delle spese.
La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto che la clausola contrattuale debba essere esaminata nel contesto e non staccata del resto delle condizioni generali: è considerato valido il patto di gestione della lite, in cui la singola clausola di esclusione del rimborso delle spese legali si inserisce. Per i giudici, dunque, la disposizione pattizia non è valida di per sé ma unicamente riferita al contesto in cui è stata inserita.
In passato la Giurisprudenza aveva già precisato che «il patto con cui l’assicuratore assume la gestione della lite configura un negozio atipico, ma è accessorio al contratto di assicurazione e rappresenta un mezzo attraverso il quale viene data esecuzione al rapporto assicurativo.
In particolare, il patto di gestione della lite costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell’obbligo di rimborso delle spese di resistenza posto dall’art. 1917, comma 3, c.c» (Cass. 9744/1994; Cass. 14107/2019).
Secondo la ricorrente solo se l’assicurazione è intervenuta offrendo la propria difesa e la cliente ha deciso di non avvalersene può affermarsi che la decisione sia stata del professionista, che esplicitamente decide di scegliere un altro legale.
Per la Cassazione, invece, il rifiuto di rimborsare le spese dell’assicurato è legittimo nel caso in cui questi decida di non avvalersi alla clausola del contratto.
L’assicurazione non deve pagare
Per la Cassazione occorre che oltre al patto sottoscritto tra le parti queste devono anche manifestato la volontà di avvalersene e di rendere concretamente operante la clausola controversa.
Nel caso in esame, è incontestato che l’odontoiatra ricorrente abbia volontariamente deciso di non avvalersi della clausola, facendo così discendere l’inoperatività del diritto al rimborso a lei spettante.
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