È riciclaggio sostituire il microchip di un cane smarrito

Può capitare a tutti di trovare un cane smarrito che vaga spaesato in città o nei campi: in questo caso la cosa migliore da fare è allertare le autorità competenti in modo da riuscire a recuperarlo, metterlo in sicurezza e, soprattutto, verificare che abbia il microchip così da poterlo restituire al proprietario. Di sicuro, e il caso di oggi lo insegna, non solo è sconsigliato ma vietato per legge tenersi il cane e sostituire il suo microchip per farlo passare come proprio: si rischia infatti una condanna per riciclaggio, furto, e appropriazione di cose smarrite.

Trova un cane e se ne appropria, è reato

Il caso di oggi vede l’imputato condannato nei primi due gradi di giudizio per aver tenuto un cane trovato per strada, averlo obbligato a restare nella sua proprietà sostituendo addirittura il suo microchip con quello di un altro cane cercando così di occultarne la provenienza illecita.

Secondo l’accusa l’imputato, volendo ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa del cane, un pastore tedesco a pelo  lungo trovato in strada e tenuto con sé nonostante fosse di proprietà altrui, avrebbe sostituito il microchip iniettato dell’animale con quello di un pastore tedesco a pelo corto già di sua proprietà. L’ipotesi accusatoria è quella disciplinata dall’art. 647 c.p. relativa all’appropriazione di cose smarrite. Secondo la norma “È punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 309 chiunque, avendo trovato denaro o cose da altri smarrite, se si appropria, senza osservare le prescrizioni della legge civile sull’acquisto della proprietà di cose trovate”.

È riciclaggio sostituire il microchip a un cane trovato per appropriarsene

Avendo l’imputato sostituito il microchip del cane trovato con quello di un cane già di sua proprietà viene integrato anche il reato di riciclaggio ai sensi dell’art. 648 bis c.p. che stabilisce “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.”

Le prove inequivocabili che il cane era quello smarrito

L’imputato decide allora di ricorrere in Cassazione lamentando l’assenza di prove che attestino che l’animale fosse proprio quello smarrito: la Corte ricorda allora come i giudici di merito abbiano già evidenziato prove inequivocabili dell’ “identità” del cane, come il fatto che l’animale avesse riconosciuto i padroni manifestando chiari segni d’affetto, o che quando veniva chiamato con il suo “vecchio” nome si avvicinava al recinto.

Il punto della Cassazione: è riciclaggio (con furto)

La Cassazione ricorda che il reato di riciclaggio di cui all’art. 648 c.p. è integrato non solo “dalle condotte tipiche di sostituzione o trasformazione del bene di origine illecita ma anche da ogni altra operazione diretta ad ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa del bene.“

Per questo, dopo che i giudici di merito hanno ricostruito le modalità di sostituzione del microchip che l’imputato ha attuato per non rendere individuabile la provenienza del cane, la Cassazione reputa correttamente riconosciuto il reato di riciclaggio.

Inoltre i giudici confermano anche la configurazione del reato di furto, “essendo il cane dotato di segni che ne rendevano individuabile il proprietario”. La Corte, con la sua sentenza, non ignora “il precedente orientamento secondo cui l’acquisizione del possesso di un cane smarrito può essere fatta rientrare tra le ipotesi di caso fortuito (art. 647 c.p.)” ma nel caso concreto i giudici hanno provato che l’animale dopo essersi spontaneamente allontanato da casa era stato costretto a restare nella proprietà dell’imputato contro la sua volontà e, soprattutto, nonostante i tentativi dei legittimi proprietari di riprenderlo con sé.

Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali.

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