Installare microspie in casa all’insaputa del coniuge è reato?

A volte si pensa erroneamente che in casa propria si possa fare tutto ciò che si vuole. Ma come si dice spesso, la libertà personale finisce quando inizia quella altrui, e questo vale anche tra le mura domestiche. A ricordarlo è una recente sentenza della Corte di Cassazione che ha confermato la condanna per un uomo ritenuto responsabile di aver illecitamente installato una microspia in casa per spiare la moglie, dalla quale si stava separando.

Microspie in casa: il caso

Tutto inizia con una doppia condanna in primo e in secondo grado, con la corte d’Appello di Messina che conferma la pena di 4 mesi di reclusione nei confronti di un padre di famiglia, ritenuto responsabile di aver installato una microspia nella casa doveva viveva assieme alla sua ex-compagna, proprio mentre avevano in corso una causa per l’affidamento del figlio minore. Tramite il dispositivo di sorveglianza l’uomo aveva così appreso indebitamente notizie relative alla vita privata della donna. Secondo la difesa l’imputato aveva agito installando il microchip per provare la “manipolazione del minore da parte della madre contro di lui”.

Ricorrendo in Cassazione l’uomo sostiene che il reato per cui viene condannato, ossia quello di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.), non possa configurarsi quando a commettere l’azione è il titolare dell’abitazione in cui viene effettuata la registrazione essendo “parte della vita privata” che la disposizione penale vuole tutelare. La norma penale prevede infatti che “chiunque mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614 è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni”.

L’imputato, inoltre, sostiene di aver agito per fini di tutela del legame padre/figlio e dell’incolumità psicologica del minore dal tentativo di manipolarlo della madre: fattore, questo, che nei primi due gradi di giudizio non sarebbe stato adeguatamente preso in considerazione.

Infine, per il ricorrente non sono state erroneamente applicate le circostanze attenuanti generiche né riconosciuta la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto: tutti motivi che, per la corte di Cassazione, sono infondati.

Microspie in casa all’insaputa del partner: cosa dice la Cassazione

Con sentenza n. 12713/2024 la Corte di Cassazione rigetta il ricorso presentato dall’imputato spiegando che la giurisprudenza ha già più volte chiarito che “integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615 bis c.p. la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all’interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe” (sent. 36109/2018). Sulla base di questo, non si configura il reato in oggetto solamente nel caso in cui l’autore della condotta informi gli altri soggetti ottenendo il loro consenso ad installare microspie. Per questo motivo “il discrimine tra interferenza illecita e lecita non è dato dalla natura del momento di riservatezza violato, ma dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia stato o meno partecipe” spiegano gli Ermellini nella loro pronuncia.

Per la Cassazione, inoltre, i giudici d’Appello hanno correttamente valutato come la condotta della madre non abbia arrecato alcun pregiudizio nei confronti del figlio non avendo leso la conservazione di un corretto rapporto tra il bambino e il padre, motivo che infatti aveva portato la predisposizione dell’affido condiviso del piccolo durante la causa di separazione.

Il fatto che l’uomo avesse agito convinto che il figlio minore fosse in pericolo per i tentativi di manipolazione psicologica da parte della madre per i giudici non esclude l’intenzionalità di commettere il reato imputatogli, che viene ugualmente riconosciuto poiché sussiste il dolo generico relativo alla “volontà cosciente di procurarsi indebitamente immagini inerenti la privacy altrui.

Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il padre al pagamento delle spese processuali: installare microspie in casa all’insaputa del coniuge, anche se la casa è la propria, costituisce reato.

studio legale zambonin

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