Padre disoccupato che non paga il mantenimento: no ad attenuanti

Il fatto che il padre sia disoccupato e incensurato non gli garantisce la possibilità di godere delle circostanze attenuanti generiche se non paga il mantenimento al figlio minorenne: a stabilirlo è la Cassazione con sentenza 30452/2020.

padre disoccupato

La rilevanza della disoccupazione

Nel caso esaminato oggi il Tribunale di Trapani ha assolto l’imputato dal reato di cui all’art. 570 c.2 c.p. (relativo alla violazione degli obblighi di assistenza famigliare, che così recita: “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 euro a 1032 euro. Le dette pene si applicano congiuntamente a chi: 1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge; 2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa; 3) per non aver mai pagato l’assegno di mantenimento di 200 euro mensili a favore del figlio.

Per il giudice di primo grado “nonostante l’inadempimento dell’obbligo impostogli risultava accertato che l’imputato si era trovato nell’impossibilità di provvedere in quanto privo di occupazione”.

Niente attenuanti generiche in Appello

La Corte d’Appello di Palermo però riforma la sentenza dichiarando l’imputato responsabile del reato contestato condannandolo a 2 mesi di reclusione e 150,00 euro di multa, da aggiungersi al risarcimento per i danni subiti dalla parte civile.

La decisione dei giudici di secondo grado si basa sulle dichiarazioni dell’ex moglie dell’imputato secondo la quale dopo la separazione, seppur l’ex marito avesse un lavoro (dapprima come dipendente e poi in proprio), si era ugualmente reso inadempiente dell’obbligo di assistenza famigliare pur non versando in condizioni di assoluta indigenza e “facendo mancare al figlio i necessari mezzi di sussistenza, così che la madre affidataria, che svolgeva attività lavorativa quale addetta alle pulizie, era stata costretta a provvedere faticosamente da sola per far fronte alle primarie esigenze di vita. Il disinteresse nei confronti del figlio rendeva l’imputato non meritevole delle attenuanti generiche”.

Il caso giunge in Cassazione quando l’imputato ricorre davanti ai giudici di legittimità lamentando, tra le altre cose, la mancata concessione delle circostanti attenuanti generiche, ritenendo che la corte non abbia considerato “gli elementi positivi (incensuratezza, difficoltà economiche e patologie depressive)” che avrebbero potuto garantire la loro applicazione.

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L’imputato non è in una posizione incolpevole: nessuna attenuante generica

La Cassazione con sentenza 30452/2020, rilevando lo stato di bisogno del figlio minorenne, conferma la correttezza dei giudici di secondo grado nel ritenere che non sia “comprovata una condizione incolpevole dell’imputato tale da esimerlo dall’obbligo di contribuzione”.

Per i giudici di legittimità “il ricorrente pretende che in sede di legittimità si proceda ad una operazione non consentita di rinnovata valutazione dei criteri e delle modalità mediante i quali i giudici di merito hanno esercitato il potere discrezionale ai fini del motivato diniego delle attenuanti generiche”, valutazione che infatti non spetta alla Cassazione.

La Corte d’Appello aveva correttamente spiegato di non “ritenere il ricorrente meritevole delle attenuanti generiche in considerazione del protratto disinteresse nei confronti del figlio”. Inoltre, ricorda la Corte, “nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti.”

Per questi motivi il ricorso viene dichiarato inammissibile, e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali.

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