Reato di estorsione e di ragion fattasi: quali differenze?

Che differenza c’è tra il reato di estorsione e di ragion fattasi? Dal punto di vista penale, il primo è punito più severamente.

Reato di estorsione

Cosa succede se un soggetto con violenza o minaccia costringe una persona a farsi consegnare dei soldi da un’altra persona? Quali reati possono configurarsi?

Se una persona usa violenza o minaccia sia fisica che verbale nei confronti di un altro per ottenere soldi od altra utilità, obbligando la vittima ad assecondare la richiesta per evitare di incorrere nelle peggiori conseguenze rappresentate dall’autore della minaccia (per es. minaccia di morte) viene integrato il reato di estorsione punito dall’art. 629 c.p. che prevede una gravissima risposta sanzionatoria, ossia una pena della reclusione da 5 a 10 anni e con la multa da Euro 1.000 ad Euro 4.000.

Nel linguaggio comune, l’estorsione rimanda alla richiesta del pizzo agli imprenditori e sembra quindi apparentemente confinata agli ambienti mafiosi.

Non è così, è più diffusa di quanto si possa pensare.

In genere la minaccia si esplica in un’alternativa tra il male minore (di natura patrimoniale) ed il male maggiore (che è strumentale) senza che sia necessario annullare la libertà di scelta della vittima, che però finisce per ricadere sul male minore per evitare il danno più grave. Si deve realizzare una limitazione nell’autodeterminazione della vittima quale conseguenza della condotta relizzata dal responsabile.

L’estorsione è un reato contro il patrimonio e il momento consumativo coincide con la realizzazione del profitto da parte dell’agente (es. incasso di un titolo di credito); se diversamente tale evento non si realizza, per esempio per il rifiuto della vittima o per l’intervento tempestivo delle forze dell’ordine, potrebbe configurarsi il reato di tentata estorsione, con una riduzione di pena rispetto alla forma consumata.

Differenze rispetto al reato di ragion fattasi

Molto interessante, ai fini difensivi, comprendere la differenza di tale reato con quello meno grave della c.d. ragion fattasi, ossia con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone, punito a querela di parte dall’art. 393 c.p. con una pena della reclusione fino ad un anno.

Ciò che distingue i due reati non è tanto la modalità della condotta che all’apparenza sembra coincidere (ed infatti anche nell’esercizio arbitrario delle ragioni l’agente impiega minaccia o violenza per ottenere un risultato che può anche essere di natura patrimoniale), ma l’elemento soggettivo.

Ossia per integrarsi il più grave reato di estorsione – procedibile d’ufficio – è necessario che l’agente agisca nella piena consapevolezza di non avere alcun diritto giuridicamente tutelabile al profitto che mira ad ottenere con l’impiego della violenza o della minaccia nei confronti della sua vittima.

Al contrario, per realizzarsi il reato meno grave della ragion fattasi il soggetto agisce facendosi giustizia da sé, ossia pur nella consapevolezza di poter ricorrere al giudice per la tutela del suo diritto, preferisce agire per le vie brevi.

Detto discrimine è stato ribadito da una recente sentenza della Corte di Cassazione – Sezioni Unite n. 29541/20 – che ha confermato come la più grave risposta sanzionatoria prevista per il reato di estorsione, sia spiegata proprio nell’atteggiamento psicologico del soggetto, che pone in essere la condotta pur sapendo di non avere alcun diritto di ottenere quanto preteso dalla vittima.

studio legale zambonin

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