Se la vittima di stalking cambia idea il persecutore finisce comunque in carcere

La volontà della vittima del reato di stalking di riprendere la relazione con il suo persecutore non fa venire meno l’esigenza cautelare del carcere disposta dal giudice.

Se la vittima di stalking cambia idea il persecutore finisce comunque in carcere

Stalking: il caso

Nei confronti di un uomo accusato di aver realizzato atti persecutori contro la sua ex compagna veniva disposta la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di stalking, punito dall’art. 612 bis c.p.

La donna era infatti stata costretta a subire atti fisici e morali consistenti in vessazioni fisiche e morali, minacce di morte e atti sessuali e lesioni aggravate per concludere atti sessuali.  

L’imputato si era rivolto al Tribunale del Riesame impugnando detta ordinanza, sostenendo che nel disporre la custodia cautelare in carcere non si era tenuto conto del fatto che la vittima si fosse rappacificata con il suo “aguzzino”, avendo anche dichiarato più volte di voler rimettere la querela.

La decisione della Cassazione

Pronunciandosi con sentenza 2620/2019 la Corte di cassazione ha confermato la decisione del Tribunale ritenendo che “la presunta volontà della persona offesa di rimettere la querela e di riprendere la relazione con l’imputato non incide sul piano delle esigenze cautelari a fronte della comunque persistente sussistenza del pericolo concreto di reiterazione tratto dal quadro dei fatti, che ritrae l’indagato quale soggetto dall’indole possessiva, violenta e totalmente incapace di frenare i propri impulsi, che avrebbe posto in essere non occasionali ma sistematiche aggressioni fisiche e verbali ai danni della compagna, anche in seguito al successivo allontanamento dell’imputato dall’abitazione comune.”

Inoltre, secondo la Cassazione “l’aggressività e l’astio manifestati dall’imputato non forniscono alcuna rassicurazione circa la spontanea osservanza delle prescrizioni connesse ad una misura alternativa al carcere, vista la gravità dei fatti connessi”, motivo che ha portato i giudici a confermare la legittimità dell’ordinanza che aveva disposto la carcerazione preventiva dell’imputato.

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