Sì allo smart working per i dipendenti “fedeli e diligenti”

Un anno fa la pandemia in corso ci ha imposto l’obbligo di lavorare da casa, poi con l’allentarsi delle restrizioni gli uffici hanno riaperto, si è tornati in azienda ridimensionando un po’ lo smart working quasi totale che per mesi ci ha stravolto le nostre giornate.

smart working

Ma se questa modalità di lavoro fosse il futuro? Ci sono aziende, specialmente le multinazionali, dove questa nuova metodologia ha preso ampiamente piede, tanto da essere in alcuni casi prediletta al lavoro in presenza. Ma se da un lato con il lavoro a casa ci sono dipendenti che sanno quando accendono il computer ma non quando lo spengono, d’altra parte c’è il rischio che senza l’occhio vigile del capo i “lazzaroni” aggravino la loro pigrizia. Per questo, affinché lo smart working sia efficace e vantaggioso, il dovere di fedeltà del dipendente e quello di diligenza sono elementi essenziali.

Lo smart working l’ha inventato il Covid?

È stata una delle parole più utilizzate nell’anno della pandemia, entrata prepotentemente nel nostro vocabolario e nella nostra quotidianità, ma lo smart working, anche detto “lavoro agile” il legalese, esisteva già non solo nel mondo ma anche nel nostro ordinamento.

La L.81 del 2017 all’art. 18 co.1 prevede infatti che: “Allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di  vita  e  di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione  del rapporto di lavoro subordinato  stabilita  mediante  accordo  tra  le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e  obiettivi e senza precisi vincoli di orario  o  di  luogo  di  lavoro,  con  il possibile  utilizzo  di strumenti  tecnologici  per  lo  svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene  eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una  postazione  fissa,  entro  i  soli  limiti  di  durata   massima dell’orario di lavoro  giornaliero  e  settimanale,  derivanti  dalla legge e dalla contrattazione collettiva. 2 maggio 2017, infatti, all’art. 18”.

Già nel 2017 dunque l’ordinamento italiano prevedeva la possibilità di una diversa modalità di esecuzione del rapporto contrattuale tra datore e dipendente. Lo smart working comporta l’assenza di precisi vincoli di orario e di luogo di lavoro con l’imposizione di una durata massima dell’orario lavorativo, così come disposto dalla contrattazione collettiva. Un lavoro agile perché teoricamente più coincidente con gli impegni familiari dei dipendenti anche se potenzialmente molto più coinvolgente che in ufficio dove, dopo aver “timbrato il cartellino” la giornata lavorativa si esaurisce ufficialmente.

Obbligo di fedeltà e diligenza per il dipendente

Gli obblighi di fedeltà e diligenza in capo al dipendente di cui si accennava poco sopra sono in realtà slegati dalle modalità di esecuzione del lavoro essendo requisiti necessari sempre e previsti dal codice civile, ma particolarmente evidenti quando manca l’occhio vigile del datore.

L’art. 2104 c.c. prevede infatti che “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale. Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”. L’art. 2105 c.c. relativo invece all’obbligo di fedeltà dispone che “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

smart working digilenza

Se il datore non può controllare dal vivo…

Con la metamorfosi del lavoro è cambiato anche il metodo di controllo da parte del datore, per assicurarsi che il dipendente svolga correttamente il proprio lavoro. Ma come?

L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, con una modifica introdotta nel 2015, all’art. 4 disciplina il controllo a distanza del dipendente relativamente agli impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo, e prevede che:

“1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze.

3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”

In tal senso dunque gli strumenti “dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza” possono essere impiegati solo per esigenze di carattere organizzativo e produttivo, non prettamente di controllo. E viene peraltro specificato che “non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”: rimane comunque fondamentale il rapporto di fiducia tra il datore di lavoro e il dipendente.

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