Sulla regolamentazione dei rapporti genitoriali: competenza giurisdizionale

Per dare corso in Italia a un procedimento nel quale siano presenti elementi di estraneità (ovvero le parti coinvolte non siano tutti cittadini italiani o residenti in Italia), si deve verificare la sussistenza del presupposto processuale della giurisdizione, valutare, cioè, se il Giudice italiano sia competente ad occuparsi della controversia.

Nell’ambito dei rapporti tra gli Stati dell’Unione Europea, la giurisdizione e la circolazione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità matrimoniale sono governate dal Regolamento UE n.2201/2003. Ed è proprio il predetto regolamento ad occuparsi, anche, dei procedimenti sulla responsabilità genitoriale: il regolamento fornisce un elenco di materie espressamente rientranti in tale nozione di responsabilità genitoriale e che include, ad esempio, i procedimenti relativi al diritto di affidamento e di visita, con la precisazione che la nozione di “diritto di affidamento” va riferita ai diritti e ai doveri concernenti la cura di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza.

Il “diritto di visita”, invece, riguarda il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo di tempo limitato.

In questa materia, la competenza generale è attribuita alle autorità giurisdizionali dello Stato membro in cui il minore risiede abitualmente alla data di proposizione della domanda (art. 8 Regolamento UE n.2201/2003) sul presupposto che tale criterio di collegamento garantisce la prossimità tra il minore ed il Giudice che deve decidere.

Nel caso, poi, in cui debba trovare applicazione la legge italiana si applica la normativa di cui all’art.709ter c.p.c.. Ed infatti, l’art.709ter c.p.c. individua, sia in pendenza del giudizio di separazione o di divorzio che successivamente alla conclusione dello stesso, l’autorità giudiziaria competente, per un verso, a decidere le questioni insorte tra i genitori sull’esercizio della potestà o sulle modalità di affidamento dei figli (mediante la necessaria adozione di provvedimenti c.d. opportuni) e, per altro verso, a valutare le inadempienze o le violazioni commesse da uno dei genitori rispetto al provvedimento di affidamento della prole (pronunciando l’eventuale modifica dei provvedimenti in vigore e l’adozione di una, o più di una, delle misure coercitive e sanzionatorie previste dalla richiamata disposizione normativa).Come noto, con l’introduzione dell’art. 709ter c.p.c., il legislatore ha voluto tutelare il diritto soggettivo del figlio minore alla bigenitorialità mediante due tipologie di interventi del Giudice, distinti ed autonomi gli uni dagli altri.

Il primo intervento consiste nella soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento della prole e si conclude con l’adozione di “provvedimenti opportuni”.

Il secondo intervento consiste, invece, nel garantire l’attuazione e l’osservanza del provvedimento di affidamento dei figli, a prescindere dall’esistenza di una controversia tra i genitori (che, pertanto, non è necessaria), ove si siano già verificate delle inadempienze o delle violazioni, da parte di uno di loro, e si conclude con l’eventuale modifica dei provvedimenti in vigore e con la possibile adozione, anche congiunta, delle misure coercitive previste nel secondo comma dell’art. 709ter c.p.c..

Può, anche, accadere che le due autonome fattispecie contenute nel primo e nel secondo comma dell’art. 709ter c.p.c. si sovrappongano; ciò avviene tutte le volte in cui un genitore assuma, unilateralmente, una decisione di maggiore interesse per il figlio (ad esempio modificando il luogo di residenza del minore), ponendo in essere, così facendo, anche un grave inadempimento al provvedimento di affidamento (che impone ai genitori di assumere di comune accordo tali decisioni), nonché un comportamento idoneo ad ostacolare il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento (stante, ad esempio, la maggiore distanza tra il nuovo luogo di residenza del figlio e quello del genitore non collocatario), e, quindi, idoneo a ledere il diritto del minore alla bigenitorialità.

In casi del genere, il genitore che ha subito tale decisione potrà ricorrere, ai sensi dell’art. 709ter c.p.c., al Giudice del procedimento in corso ovvero al tribunale del luogo di residenza del minore (se il giudizio di separazione o di divorzio è stato già definito con decreto di omologazione o con sentenza passata in giudicato), per chiedere, da un lato, la soluzione della controversia insorta con l’altro genitore in ordine al luogo di residenza del figlio (e, quindi, di pronunciarsi sulla legittimità del contestato mutamento di residenza, decidendo se confermarla ovvero ordinare l’immediato rientro del minore nel precedente habitat domestico), e, dall’altro lato, la modifica dei provvedimenti in vigore (ad esempio, il collocamento presso di sé del minore) e l’applicazione, nei confronti dell’altro genitore, di una misura coercitiva e sanzionatoria, stante la grave inadempienza commessa da quest’ultimo rispetto alle prescrizioni contenute nel provvedimento di affidamento dei figli.

In conclusione, nel caso in cui il caso concreto presenti elementi di estraneità (ad esempio, diversa cittadinanza, domicilio o residenza, delle parti coinvolte) e, quindi, vi sia un conflitto con una o più legislazioni straniere, occorrerà, in primis, stabilire quale sia la giurisdizione e, poi, ricercare, al suo interno, le norme processuali applicabili.

 

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