Cassazione Civile, Sez. III, 8 marzo 2007, n. 5308

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 8 marzo 2007, n. 5308 – Pres. Duva – Est. Segreto – P.M. Marinelli (conf.); S. c. Comune di Genova

Posto che la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. si applica alla P.A. solo qualora sul bene, per le sue caratteristiche, sia dato configurare la custodia, intesa quale potere di governo del bene stesso, nell’ipotesi di una strada, il relativo accertamento effettuato dal giudice di merito su di un piano concreto, deve tener conto, quale elemento sintomatico della possibilità di custodia, della circostanza che la strada si trovi nel perimetro urbano del comune. (1)
Ove l’oggettiva impossibilità di custodia renda inapplicabile la norma di cui all’art. 2051 c.c., la tutela risarcitoria resta unicamente affidata alla fattispecie generale prevista dall’art. 2043 c.c., senza alcuna limitazione alle sole ipotesi di insidia e trabocchetto che, nel contesto di tale fattispecie, devono considerarsi solo figure sintomatiche della colpa della P.A. e che non escludono una diversa dimostrazione della condotta colposa dell’amministrazione (in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in un’ipotesi di caduta, aveva ristretto la responsabilità del comune proprietario della strada alle sole ipotesi di cd. insidia e trabocchetto, senza esaminare, più in generale, la sussistenza di un’eventuale condotta colposa dello stesso ente nella manutenzione della strada).(2)
La concreta visibilità dello stato di degrado e di pericolo in cui versa la strada non è, da sola, sufficiente ad escludere la responsabilità del comune proprietario, ma può essere valutata nel contesto del giudizio sull’eventuale condotta colposa del danneggiato, idonea a costituire causa concorrente nella produzione dell’evento dannoso, ai sensi dell’art 1227 c.c. (3)

Svolgimento del processo

…Omissis…
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c. nonché il vizio motivazionale dell’impugnata sentenza.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, sotto altro profilo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c..
Assume la ricorrente che salita in questione era l’unica strada di accesso al resto della città per gli abitanti della zona; che, come rilevato dal primo giudice, la strada era in uno stato di grave pericolosità, perché costituita da una mattonata sconnessa, con ciottoloni di mare arrotondati, e viscida per il muschio; che nonostante l’opportuna attenzione, il pericolo di caduta rimaneva ineliminabile ed inevitabile; che, solo a seguito dell’incidente subito da essa attrice, il Comune intervenne per transennare e chiudere al transito parte di detta strada; che erratamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la responsabilità del Comune potesse affermarsi solo in
presenza di un insidia stradale, da escludersi nella fattispecie per la mancanza delle caratteristiche dell’ inavvistabilità ed imprevedibilità. 2. Ritiene questa Corte che i due motivi di ricorso (da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione) siano fondati e che gli stessi vadano accolti.
…Omissis…
4. Un orientamento intermedio, che è andato sempre più sviluppandosi negli ultimi tempi, ritiene che l’art. 2051 c.c., in tema di presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia – in realtà – trova applicazione nei confronti della pubblica amministrazione, con riguardo ai beni demaniali, esclusivamente qualora tali beni non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall’amministrazione medesima in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo (Cass. 30 ottobre 1984 n. 5567), ovvero, ancora, qualora trattisi di beni demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione territoriale consentano una adeguata attività di vigilanza sulle stesse (Cass. 5.8.2005, n. 16675; Cass. n. 11446 del 2003; Cass. 1.12.2004, n. 22592; Cass. 15.01.2003, n. 488; Cass. 13.1.2003, n. 298; Cass. 23.07.2003, n. 11446).
Ritiene questa Corte di dover aderire a tale ultimo orientamento, di recente ribadito (Cass. 6.7.2006, n. 15383).
5.1. La custodia si identifica in una potestà di fatto, che descrive un’attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della detenzione qualificata, con esclusione quindi della detenzione per ragioni di ospitalità e servizio, sulla scia del Gardien (dell’art. 1384 Code Napoleon) e del Besitzherr (854 B.G.B.). Responsabile del danno proveniente dalla cosa non è il proprietario, come nei casi di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2052 c.c., art. 2053 c.c. e art. 2054 c.c., u.c., ma il custode della cosa.
È dunque la relazione di fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto e la cosa che legittima una pronunzia di responsabilità, fondandola sul potere di “governo della cosa”. La sola relazione giuridica (corrispondente al diritto reale o alla titolarità demaniale) tra il soggetto e la cosa non da ancora luogo alla custodia (ma la fa solo presumere), allorché la relazione di fatto intercorra con altro soggetto qualificato che eserciti la potestà sulla cosa, (ad esempio il conduttore o il concessionario). Tale “potere di governo” si compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi, nonché quello di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in
cui si è prodotto il danno.
Solo così intendendo il contenuto della custodia, si da ragione del criterio di imputazione costituito dalla relazione di custodia tra il soggetto custode e la cosa che ha prodotto il danno.
Infatti – come detto – il criterio di imputazione esiste anche nelle ipotesi di responsabilità oggettiva, ma non è più fondato su criteri soggettivi, ma su criteri oggettivi, come tali tipologici.
Il concetto di responsabilità implica quello di sanzione per un fatto che l’ordinamento connota
negativamente nei confronti di colui sul quale ne fa gravare il costo.
5.2. Poiché la custodia è una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, certamente tale potere di fatto non può essere a priori escluso in relazione alla natura demaniale del bene, ma neppure può essere ritenuto in ogni caso sussistente anche quando vi è l’oggettiva impossibilità di tale potere di controllo del bene, che è il presupposto necessario per la modifica della situazione di pericolo.
Va qui, specificato che, attraverso questa analisi del concetto di “custodia” nel suo contenuto di “potere di governo” della cosa, non si vuole reintrodurre in modo surrettizio, un elemento di soggettività della responsabilità ex art. 2051 c.c., inserendolo nell’elemento della custodia, da cui discenderebbe che il custode, che avesse tuttavia controllato senza colpa, sarebbe esente da responsabilità per il danno verificatosi.
Non vi è dubbio che il custode risponde dei danni prodotti dalla cosa non perché ha assunto un comportamento poco diligente, ma più semplicemente per la particolare posizione in cui si trovava rispetto alla cosa danneggiante, e quindi secondo una logica che è propria
della responsabilità oggettiva.
5.3. Ciò comporta che la possibilità o meno del potere di controllo va egualmente accertata in termini oggettivi nello specifico caso di predicata custodia.
Se il potere di controllo è oggettivamente impossibile, non vi è custodia e quindi non vi è responsabilità della P.A., ai sensi dell’art. 2051 c.c..
5.4. Indici sintomatici dell’impossibilità del controllo del bene demaniale sono la notevole estensione e l’uso generalizzato dello stesso da parte degli utenti; ma tali elementi non attestano in modo automatico l’impossibilità di custodia.
La possibilità o l’impossibilità di un continuo ed efficace controllo e di una costante vigilanza – dalle quali rispettivamente dipendono l’applicabilità o la non applicabilità dell’art. 2051 c.c. – non si atteggiano univocamente in relazione a tutti i tipi di beni demaniali, ma vanno accertati
in concreto da parte del giudice di merito.
Ove tale attività di controllo non sia oggettivamente possibile, non potrà invocarsi alcuna responsabilità della P.A., proprietaria del bene demaniale, a norma dell’art. 2051 c.c., per mancanza di un elemento costitutivo della custodia e cioè la controllabilità della cosa, residuando, se ne ricorre gli estremi, la responsabilità di cui all’art. 2043 c.c..
5.6. Segnatamente per i beni del demanio stradale la possibilità in concreto della custodia, nei termini sopra detti, va esaminata non solo in relazione all’estensione delle strade, ma anche alle loro caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico di volta in volta appresta e che, in larga misura, condizionano anche le aspettative della generalità degli utenti.
Per le autostrade, contemplate dal D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 2 (vecchio C.d.S.) e del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (nuovo C.d.S.) e per loro natura destinato alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l’apprezzamento relativo alla effettiva “possibilità” del controllo alla stregua degli indicati parametri non può che indurre a conclusioni in via generale affermativa, e dunque a ravvisare la configurabilità di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all’art. 2051 c.c. (Cass. n. 298/03; Cass. n. 488/2003).
5.7. Figura sintomatica della possibilità dell’effettivo controllo di una strada del demanio stradale comunale è che la stessa si trovi all’interno della perimetrazione del centro abitato (L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 quinquies; come modificato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765,
art. 17; D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 9; D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 4). Infatti la localizzazione della strada all’interno di tale perimetro, dotato di una serie di altre opere di urbanizzazione primaria e, più in generale, di pubblici servizi che direttamente o indirettamente sono sottoposti ad attività di controllo e vigilanza costante da parte del Comune, denotano la possibilità di un effettivo controllo e vigilanza della zona, per cui sarebbe arduo ritenere che eguale attività risulti oggettivamente impossibile in relazione al bene stradale.
6. Ove l’oggettiva impossibilità della custodia, renda inapplicabile l’art. 2051 c.c., come detto, la tutela risarcitoria del danneggiato rimane esclusivamente affidata alla disciplina di cui all’art. 2043 c.c..
In merito a questa va specificato a chiare lettere che la responsabilità della p.a. per danni conseguenti all’utilizzo di bene demaniale da parte del soggetto danneggiato non può essere limitata ai soli casi di insidia o trabocchetto: questi, come è stato rilevato, sono solo elementi sintomatici della responsabilità della P.A., ma ciò non esclude che possa individuarsi nella singola fattispecie anche un diverso comportamento colposo della P.A..
Limitare aprioristicamente la responsabilità della P.A. per danni subiti dagli utenti dei beni demaniali alle sole ipotesi della presenza di insidia o trabocchetto non trova alcuna base
normativa nella Generalklausel di cui all’art. 2043 c.c., con un’indubbia posizione di privilegio per la P.A. (in questo senso, già Cass. 14.3.2006, n. 5445).
7.1. Sia nell’ipotesi che la fattispecie rientri nell’art. 2043 c.c. sia che rientri nell’art. 2051 c.c. è rilevante l’eventuale comportamento colposo del danneggiato, poiché esso incide sul nesso causale.
In un sistema in cui il nesso causale tra il fatto e l’evento svolge un ruolo centrale, diventa fondamentale accertare se l’evento eziologicamente derivi in tutto o in parte dal comportamento dello stesso danneggiato, valutandone, quindi, l’eventuale apporto causale. L’interruzione del nesso di causalità può essere anche l’effetto del comportamento sopravvenuto dello stesso danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed
esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito (cfr. Cass. 8.7.1998, n. 6640; Cass. 7 aprile 1988, n. 2737).
7.2. Un corollario di detto principio è la regola posta dall’art. 1227 c.c., comma 1, il quale nel contempo da base normativa al suddetto principio, presupponendolo. Tale norma prevede la riduzione del risarcimento in presenza della colpa del danneggiato.
La regola di cui all’art. 1227 c.c. va inquadrata esclusivamente nell’ambito del rapporto causale ed è espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso (Cass. civ. 26.04.1994, n. 3957; Cass. 08.05.2003, n.
6988).
7.3. In questa ottica la diligenza del comportamento dell’utente del bene demaniale, e segnatamente della strada demaniale, va valutata anche in relazione all’affidamento che era ragionevole porre nell’utilizzo ordinario di quello specifico bene demaniale, con riguardo alle specifiche condizioni di luogo e di tempo.
Per il principio dell’affidamento il fatto che una persona agisca come membro di un determinato gruppo sociale comporta l’assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare determinati pericoli secondo lo standard di diligenza e capacità del gruppo.
Qui il problema si pone solo in relazione al comportamento colposo o meno del danneggiato, il quale è connotato dall’affidamento, secondo criteri oggettivi e non soggettivi, che egli ripone nel ritenere esigibile da parte della P.A. custode, una determinata condotta di custodia in relazione ad un determinato bene.
In applicazione di tale principio, la diligenza che è richiesta al danneggiato nell’uso del bene demaniale, costituito nella specie da strada, sarà diversa a seconda che si tratti di una strada campestre o del corso principale della città, pur facendo capo entrambe allo stesso demanio stradale dello stesso Comune, proprio perché il danneggiato fa affidamento su una diversa attività di controllo-custodia (che quindi ritiene esigibile) in relazione ai due tipi di strada dello stesso demanio.
8.1. Sulla base di quanto sopra esposto vanno affermati i seguenti principi di diritto: “La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c. non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali (nella fattispecie: del demanio stradale) ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non sia possibile esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sono solo figure sintomatiche dell’impossibilità della custodia da parte della P.A., mentre elemento sintomatico della possibilità di custodia del bene del demanio stradale comunale è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato un danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso Comune, pur dovendo dette circostanze, proprio perché solo sintomatiche, essere sottoposte al vaglio in concreto da parte del giudice di merito”.
8.2. “Ove non sia applicabile la disciplina della responsabilità ex art. 2051 c.c. per l’impossibilità in concreto dell’effettiva custodia del bene demaniale, l’ente pubblico risponde dei danni da detti beni, subiti dall’utente, secondo la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c. nel qual caso graverà sul danneggiato l’onere della prova del comportamento colposo della P.A., di cui le figure dell’insidia o del trabocchetto, sono solo elementi sintomatici, ma non escludono altre ipotesi di responsabilità colposa”.
8.3. “Tanto in ipotesi di responsabilità oggettiva della P.A. ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c. il comportamento colposo del soggetto danneggiato nell’uso di bene demaniale (che sussiste anche quando egli abbia usato il bene demaniale senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) esclude la responsabilità della P.A., se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, integrando, altrimenti, un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, con conseguente diminuzione della responsabilità del danneggiante in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato”.
9.1. Nella fattispecie, quindi è errata la sentenza impugnata nella parte in cui anzitutto non esamina se la “salita” in questione, per le caratteristiche oggettive del demanio stradale di Genova e segnatamente per la posizione in cui essa si trovava, potesse essere oggetto di custodia da parte del Comune convenuto, con la conseguente applicabilità alla fattispecie della
disciplina di cui all’art. 2051 c.c..
9.2. In ogni caso, ove non fosse applicabile la predetta disciplina e fosse invece applicabile solo la clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. è errata la sentenza impugnata che ha ristretto la responsabilità dell’ente proprietario della strada, per cattiva o omessa manutenzione
della stessa, alla sola ipotesi della cosiddetta insidia (o trabocchetto) stradale, senza esaminare più in generale se sussistesse un comportamento colposo (anche omissivo) dello stesso ente nella manutenzione della “salita”, eziologicamente produttivo del danno ingiusto subito dall’attrice.
Ciò vale tanto più se si considera che il giudice di appello, aderendo alla ricostruzione dei luoghi effettuata dal primo giudice, concorda sul punto che la salita era pericolosa, essendo costituita da una scalinata in ciottolato e mattoni con estese sconnessioni, particolarmente scivolosa per la formazione di una patina di muschio e che era priva di mancorrente.
La visibilità o meno (da parte dell’attrice danneggiata) di tale stato di abbandono e di pericolo non vale di per sé ad escludere la responsabilità dell’ente proprietario, per la mancanza dell’insidia, ma può essere valutato dal giudice di merito (sia nell’ipotesi di cui all’art. 2043 c.c. che in quella di cui all’art. 2051 c.c.) solo in termini di fatto colposo del danneggiato che abbia eventualmente escluso il nesso causale tra l’omissione di manutenzione da parte del Comune ed il danno ingiusto ovvero abbia dato un eventuale concorso eziologico.
…Omissis…
P.Q.M.
…Omissis…

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