La Cassazione annulla la sentenza che assolve per stupro perché “la vittima è mascolina e poco avvenente”

Ha fatto notevolmente discutere ed indignare la sentenza della Corte d’Appello di Ancora – recentemente annullata dalla Cassazione – che assolve gli imputati accusati di stupro poiché la vittima “è troppo mascolina”. Seppur annullata, la sentenza in oggetto ha causato l’insurrezione associazioni femministe e sindacati, in totale difesa della donna ed in totale contrarietà con quanto ingiustamente affermato dalla Corte di secondo grado.

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La denuncia della donna

Circa tre anni fa, a marzo 2015, una ragazza di 22 anni si dirige in ospedale accompagnata dalla madre dichiarando di aver subito una violenza sessuale qualche giorno prima da parte di un coetaneo, mentre un altro ragazzo faceva il palo. I tre – dichiara la ragazza – si conoscevano poiché frequentavano la stessa scuola serale e quel giorno dopo le lezioni avevano deciso di uscire e bere qualcosa insieme. La serata era proseguita tra un bicchiere e l’altro, la ragazza ed uno dei due si appartano più volte per avere rapporti sessuali, finché lei, nonostante, o proprio a causa, dell’ubriachezza, decide di non voler più continuare, manifestando esplicitamente ma invano il proprio consenso.

In ospedale i medici riscontrano da un lato lesioni compatibili con una violenza sessuale, dall’altro un’elevata quantità di bensodiazepine nel sangue che la vittima non ricorda di aver mai assunto.

La sentenza che assolve per stupro perché la vittima non è attraente

La sentenza incriminata è stata pronunciata il 23 novembre 2017 da tre giudici (tutte donne) della Corte d’Appello di Ancona, le quali hanno con essa assolto i due giovani dall’accusa di violenza sessuale nei confronti della donna. In primo grado i due imputati erano già stati rispettivamente condannati a tre anni (l’uomo che faceva il palo) e a cinque anni di carcere (l’uomo che ha commesso la violenza sessuale) ma la decisione è stata completamente ribaltata con la seconda pronuncia.

Nelle motivazioni della sentenza i tre giudici sostengono che all’imputato principale “la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo “Vikingo con allusione a una personalità tutt’altro che femminile quanto piuttosto mascolina” aggiungendo inoltre un commento tra parentesi “Come la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare.

Nelle conclusioni della sentenza le tre giudici arrivano addirittura ad affermare che “in definitiva, non è possibile escludere che sia stata proprio Nina a organizzare la nottata “goliardica”, trovando una scusa con la madre, bevendo al pari degli altri per poi iniziare a provocare Melendez (l’imputato principale condannato a cinque anni) inducendolo ad avere rapporti sessuali per una sorta di sfida“.

Il Procuratore generale ammonisce sull’utilizzo delle parole

Il procuratore generale della Corte d’Appello di Ancona, Sergio Sottani, commenta così la sconcertante decisione dei giudici di secondo grato “Bisogna evitare che nei processi l’uso delle parole possa costituire una forma ulteriore di violenza nei confronti delle vittime”.

Il dissenso di associazioni femministe e sindacati

Appresa la notizia della decisione, in un comunicato congiunto, non si sono fatte aspettare le critiche di numerose associazioni e sindacati: la rete femminista Rebel Network, il Comitato Marche Pride, le associazioni promotrici Agedo Marche, Arcigay Agorà Esna Consulenze di Genere Onlus, Uaar Ancona, Rete Chegender, Comunitas APS, GAP Urbino, Rebel Network, Amigay, Assist Associazione Nazionale Atlete, Arci Libero Spazio Stay Human, I sentinelli di Ascoli Piceno, Fabriano Arcobaleno, Uisp Pesaro e Urbino,  Cgil, Cisl e Uil delle Marche e la consigliera di parità per la provincia di Ancona hanno affermato.

Una simile vergogna in Italia merita, oltre all’annullamento della Cassazione una risposta collettiva da parte di cittadini, cittadine e associazioni e istituzioni. In un Paese dove qualcuno vuole sdoganare violenza sulle donne, omotransfobia e bullismo, scenderemo tutte e tutti insieme in stradaconcludonoper fermare questa barbarie, espressa in una sentenza. Il Paese che si riconosce e nella Costituzione e nel rispetto tra individui liberi non starà a guardare“.

La Cassazione annulla la sentenza e rinvia a giudizio

Come richiesto dal Procuratore generale, il quale evidenzia alcune incongruenze e vizi di legittimità nella sentenza della Corte d’Appello di Ancona prontamente impugnata, la Corte di Cassazione annulla la sentenza rinviando a giudizio il processo di appello e disponendo che venga rifatto.

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