Furto tra conviventi di fatto, sì al reato

Il quadro normativo di riferimento

Il nostro ordinamento prevede che non siano punibili alcuni reati contro il patrimonio (tra cui il furto) per fatti commessi a danno dei congiunti.

L’art. 649 c.p. stabilisce infatti che non siano punibili detti reati commessi in danno “del coniuge non legalmente separato, della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, di un ascendente o discendente, di un fratello o di una sorella che con lui convivano”.

Pertanto qualora, per esempio, la moglie quereli il marito per furto, il procedimento penale è destinato a concludersi con l’archiviazione.

La ragione di tale disposizione risiede nell’esigenza di bilanciare l’interesse alla soppressione dei reati con l’esigenza di non intaccare l’integrità familiare, risultando prevalente volgere alla riconciliazione tra i soggetti coinvolti, piuttosto che alla punizione del colpevole.

Il particolare rapporto della convivenza di fatto

In quest’ottica la giurisprudenza si è chiesta se tale esclusione della punibilità possa operare anche in caso di reato commesso dal convinte (quindi non sposato) in danno dell’altro, ossia se possa configurarsi un’equiparazione con il rapporto coniugale.

Di tale tematica si è occupata una recentissima sentenza della Cassazione – Cass. Pen. Sez. II 10/05/23 n. 19663 – chiamata a pronunciarsi su ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica presso la Corte d’appello avverso una pronuncia di merito che aveva assolto l’imputato dal reato di furto commesso tra conviventi di fatto, ritenendoli non punibili.

Detta pronuncia ha osservato come “la causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista per il coniuge dall’art. 649 c.p. non si estende alla convivenza more uxorio”.

Per motivare tale decisione ha sottolineato come la convivenza di fatto (da non confondersi con le unioni civili tra persone dello stesso sesso al contrario espressamente equiparate al legame matrimoniale da apposita modifica al testo di legge – introduzione comma 1 bis all’art. 649 c.p.) presenta dei caratteri non assimilabili al rapporto coniugale.

Della stessa idea è la Corte Costituzionale che, sul punto investita anche in occasioni pregresse di questioni di legittimità costituzionale in ordine all’asseriva violazione dell’art. 3 Cost., ha costantemente ribadito (anche in riferimento ad altre situazioni) come convivenza e rapporto di coniugio non siano tra loro sovrapponibili.

Ed infatti, la prima basata sull’affetto quotidiano risulta in qualsiasi momento revocabile e dunque non sempre dotata dei caratteri di certezza e di tendenziale stabilità propri del vincolo coniugale.

Pertanto, in conclusione, qualora un soggetto lamentasse di essere stato vittima di un furto realizzato dal suo convivente, il procedimento penale che si radica potrà proseguire e l’indagato, non potendo beneficiare della sopra illustrata causa di non punibilità, se accertata la sua penale responsabilità, verrà condannato alla pena prevista per legge per il suddetto reato.