Il padre disoccupato deve pagare il mantenimento?

Quando una coppia con figli si separa o divorzia, il bene primario da tutelare è il benessere del minore, che deve risentire il meno possibile di una situazione già di per sé traumatica. Per fare ciò, il giudice stabilisce un assegno di mantenimento, che ha lo scopo di garantire al figlio di godere di un buon tenore di vita (nei limiti delle finanze dei genitori). Ma se il padre è disoccupato e non riesce a pagare gli alimenti cosa succede? In questi casi è fondamentale verificare la situazione reale del genitore e l’impegno che lo stesso ci mette per uscire da una condizione precaria che non penalizza solamente la sua vita, ma anche quella del figlio che dipende da lui e dell’ex moglie che ha diritto al mantenimento.

Nel caso esaminato oggi il padre disoccupato è stato assolto in primo grado e successivamente condannato in Appello e dalla Cassazione per non aver adempiuto agli obblighi di assistenza familiare, avendo omesso di versare il mantenimento dovuto.

Non punibile il padre disoccupato che non paga gli alimenti alla figlia ma rimedia appena trova lavoro

Il padre disoccupato può non pagare gli alimenti?

La Corte d’Appello, riformando la sentenza assolutoria dell’imputato pronunciata in primo grado, ha condannato il padre a sei mesi di carcere e al risarcimento dei danni in favore della moglie per i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio (art. 570 bis c.p.) e violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.). L’imputato, infatti, a causa di una situazione di disoccupazione protrattasi nel tempo non aveva mai pagato gli alimenti all’ex moglie.

Lamentando che in secondo grado i giudici non hanno tenuto conto delle prove che dimostrano la sua assoluta incapacità patrimoniale e lo stato di indigenza, il padre impugna la decisione davanti alla Corte di Cassazione.

La decisione della Cassazione

I giudici di legittimità, però, esaminando il caso, evidenziano come la sentenza impugnata abbia specificamente richiamato le emergenze probatorie già vagliate dal primo Giudice, offrendo motivatamente una diversa valutazione che ha portato alla condanna. “L’imputato, diversamente da quanto affermato dal primo Giudice, risultava aver eseguito un solo bonifico (dell’importo di euro 100,00) in favore della minore, oltre ad occasionali regalie nei relativi incontri”. Nell’arco degli anni, per sopperire alle mancanze dell’ex marito, la madre infatti aveva dovuto far ricorso all’aiuto economico della madre e della sorella per far fronte alle relative necessità sue e della figlia.

Come già affermato in più occasioni dalla giurisprudenza della Cassazione, il reato di cui all’art. 570, comma secondo, cod. pen., sussiste anche quando “uno dei genitori omette la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore”. Questo significa che il fatto che la figlia della coppia non abbia avuto gravi mancanze solamente grazie all’intervento della famiglia della madre, non esonera l’imputato dalle sue responsabilità e dai suoi obblighi economici.

La Corte richiama, inoltre, il principio già in passato affermato secondo il quale “l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole di indisponibilità di introiti che non può ritenersi dimostrata sulla base della mera documentazione dello stato formale di disoccupazione dell’obbligato”.

I giudici territoriali in secondo grado sul punto avevano già correttamente ripercorso i fatti, verificando come:

  1. L’imputato, pur avendo svolto lavori saltuari come giardiniere e decoratore, non aveva versato alcunché alla figlia per soddisfarne le necessità di vita;
  2. Dopo aver smesso di lavorare come dipendente nell’aprile 2015, l’imputato si era adoperato per cercare un lavoro solo nei giorni precedenti l’udienza di maggio 2018;
  3. La perdita del lavoro era dipesa da una sua scelta autonoma, quindi non incolpevole.

Sulla base di queste valutazioni i giudici della Cassazione confermano che la Corte d’Appello ha correttamente riformato la sentenza di assoluzione di primo grado, considerato che l’imputato pur essendo in giovane età e “in possesso di specifica capacità lavorativa, nulla aveva fatto, nel corso di un triennio, per munirsi di un’occupazione che gli consentisse di adempiere alle obbligazioni giudizialmente impostegli verso la figlia minore”.

Il ricorso viene quindi dichiarato inammissibile, con la conseguente conferma della condanna del ricorrente.

studio legale zambonin

Per una consulenza legale: info@iltuolegale.it – 02 94088188

Non si effettua consulenza legale gratuita.

È assolutamente vietata la riproduzione, anche parziale, del testo presente in questo articolo senza il consenso dell’autore. In caso di citazione è necessario riportare la fonte del materiale citato.