Insultare sempre la moglie equivale a maltrattarla

Insultare la propria moglie equivale a maltrattarla: a stabilirlo – anzi, a confermarlo – è la Corte di Cassazione con sentenza 34351/2020 rappresentando episodi di prevaricazione nei confronti della vittima.

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Insultare la moglie equivale a maltrattarla

I giudici di legittimità, ripercorrendo la vicenda giuridica dell’imputato, hanno evidenziato come la Corte territoriale con la sentenza impugnata rappresentasse che gli “episodi di prevaricazione nei confronti della vittima, consistono in continui insulti (sei una scrofa, come sei brutta, copriti, fai schifo, sei grassa, dovrei cambiare le porte perché non ci entri più, tra dieci anni ti cambio con una più giovane e più bella) pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, nel far mancare alla persona offesa i mezzi finanziari necessari per l’acquisto di beni di prima necessità, cui si sono accompagnate le sporadiche condotte violente riferite ed accertate. Siffatte considerazioni sono sufficienti a sorreggere il giudizio di ripetitività ed abitualità dei comportamenti richiesto dal delitto di cui all’art. 572 cod. pen., costituendo il nucleo di un abituale comportamento vessatorio ai danni della moglie dell’imputato”.

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Il reato di maltrattamenti in famiglia

L’art. 572 c.p., relativo ai maltrattamenti contro familiari o conviventi, prevede che “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi”.

Nel caso in esame dunque, oltre agli atti di violenza accertati nei primi due gradi di giudizio, i continui e costanti insulti che l’imputato ha nel tempo pronunciato nei confronti della moglie rappresentano il reato di maltrattamenti in famiglia, per il quale l’uomo è stato ritenuto responsabile.

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