Mantenimento dei figli maggiorenni

Mantenimento dei figli maggiorenni da parte dei genitori fino al raggiungimento dell’indipendenza economica – Legittimazione della madre convivente.

Deve ritenersi sussistente la legittimazione attiva al pagamento del contributo di mantenimento a favore della figlia maggiorenne in capo alla moglie con essa convivente anche a seguito all’entrata in vigore della legge n. 54/2006 (Giudice di Pace di Monza, sentenza n. 13/05/08 – (giud. Ambrosini) B.N. c.)

La sentenza in commento offre un interessante esame delle modifiche normative introdotte dalla Legge 8 febbraio 2006 n. 54 (1) e, in particolare, dell’interpretazione e dei limiti dell’art. 155 quinquies c.c. introdotto con la legge citata (2) relativo alle diposizioni a favore dei figli maggiorenni (3).
Lo spunto è dato dalla proposizione di un precetto, proposto dalla moglie dell’obbligato, avente ad oggetto l’intimazione di pagamento della somma di Euro 200,00 a titolo di omesso pagamento del contributo di mantenimento per la figlia maggiorenne, convivente con la madre proponente il precetto medesimo, in forza di decreto di omologazione delle condizioni di separazione consensuale intervenuta tra i coniugi.
Si opponeva il coniuge obbligato al mantenimento, assumendo la carenza di legittimazione attiva della moglie e, ad ogni modo, la nullità e l’inefficacia dell’atto esecutivo impugnato.
Relativamente alla sollevata eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo all’’azionante il precetto, rilevava l’opponente che le condizioni di separazione prevedevano l’obbligo di versare la somma di Euro 200,00 mensile direttamente nelle mani della figlia maggiorenne non ancora economicamente indipendente e che quest’ultima pertanto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 81 c.p.c. (4) e dell’’art. 155 quinquies c.c. introdotto dalla Legge n. 54/2006, fosse l’unica legittimata ad agire esecutivamente per ottenere il versamento forzoso di detto importo, con esclusione di qualsiasi legittimazione, anche concorrente, della di lei madre.
Il Giudice di Pace di Taranto, esaminando la sollevata eccezione di carenza d legittimazione attiva nei confronti dell’azionante, rigettava l’eccezione preliminare così argomentando.
Premesso che prima dell’entrata in vigore della Legge n. 54/2006 citata, risultava consolidata l’interpretazione che riteneva l’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli non solo fino al raggiungimento della maggiore età dei medesimi bensì fino alla loro indipendenza economica, essendo la posizione del figlio non ancora indipendente economicamente assimilata a quella del figlio minore, il genitore che continuava a provvedere al mantenimento del figlio maggiorenne e non ancora economicamente indipendente aveva diritto ad ottenere dall’altro genitore, “iure proprio”, sia il rimborso di quanto anticipato a titolo di mantenimento (per la quota di spettanza dell’altro genitore), sia il versamento del contributo di mantenimento futuro del figlio.
Prima dell’introduzione della Legge n. 64/2006, costante dottrina e giurisprudenza ritenevano pacifica la legittimazione ad agire del genitore convivente con quella del figlio maggiorenne sulla base della solidarietà attiva dei creditori, trattandosi di due diritti autonomi e non del medesimo diritto attribuito a soggetti distinti (5)
Ciò premesso, il Giudice ha rilevato come l’introduzione della nuova normativa non abbia influito su tale interpretazione che deve ritenersi, pertanto, ancora valida.
Ed infatti rileva come, sotto un profilo sistematico, l’introduzione del nuovo art. 155 quinquies c.c. si ponga in posizione di continuità ideale con i principi e gli orientamenti consolidatisi nella previgente formulazione normativa, operando anch’essa una sorta di parallelismo tra i figli minori ed i figli che hanno raggiunto la maggiore età ma non ancora l’indipendenza economica, parallelismo reso particolarmente evidente nell’ultimo comma dell’art. 155 quinquies c.c. relativo ai figli maggiorenni portatori di handicap grave, equiparati integralmente ai figli minori (6).
Ed invero, sebbene il legislatore con la modifica in commento abbia inteso introdurre una tutela più ampia per i figli maggiorenni non ancora indipendenti grazie alla previsione di nuove forme di mantenimento dirette da parte dei genitori, regolamentando la facoltà di versamento dell’assegno di mantenimento da parte del genitore obbligato direttamente nelle mani del figlio maggiorenne – facoltà soggetta al prudente apprezzamento del giudice – tale previsione, lungi dall’escludere il diritto iure proprio del genitore convivente con figli maggiorenni non autosufficienti a percepire l’assegno di contribuzione al loro mantenimento, si limita a stabilire, nell’ambito dei giudizi di separazione personale o di divorzio, modalità meramente attuative dell’obbligo di contribuzione da parte del genitore non convivente con i figli (7).
Ciò è di tutta evidenza analizzando altresì il profilo testuale della norma, collocata nel capo quinto del libro primo del codice civile relativo allo scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi.
Tale sistemazione va ad introdurre nell’ordinamento giuridico il concetto già assimilato e consolidato dalla precedente giurisprudenza circa l’estensione dell’obbligo di mantenimento dei figli da parte dei genitori non già fino al compimento della maggiore età bensì fino al raggiungimento dell’indipendenza economica.
Anche sotto questo profilo, nessuna interruzione o deviazione concettuale è stata apportata al precedente orientamento.
E’ evidente quindi, come non possa ravvisarsi nel testo del nuovo art. 155 quinquies c.c., alcuna interferenza circa la sussistenza della legittimazione ad agire “iure proprio” da parte del genitore convivente con il figlio maggiorenne economicamente dipendente dallo stesso, legittimazione che concorre con la legittimazione attiva del figlio maggiorenne che ha altrettanto diritto ad agire “iure proprio” per ottenere il versamento delle somme a titolo di mantenimento, in forza dell’introduzione della novità normativa che prevede che sono proprio gli stessi gli “aventi diritto” all’assegno.
Ed infatti diversamente argomentando si priverebbe il genitore convivente con la prole maggiorenne ad ottenere l’esecuzione delle disposizioni contenute nella sentenza di separazione o divorzio, con conseguente affievolimento della tutela del figlio maggiorenne non autonomo.
Peraltro, il Giudice ha posto in luce la circostanza come il legislatore abbia predisposto una tecnica normativa peculiare e consolidata fondata sulla scissione logica tra parte processuale (il genitore) e parte sostanziale (il figlio maggiorenne avente diritto al mantenimento), che permette all’organo giudicante di emanare una sentenza che sul piano formale è resa a favore di un soggetto (il figlio) che non è parte processuale del procedimento di separazione ma che ne è in parte destinatario degli effetti.
Ciò al fine di evitare il proliferare di nuovi giudizi promossi dai figli nei confronti dei propri genitori ovvero l’intervento dei figli nelle liti relative al disgregarsi dell’unione famigliare, oggi riguardanti i soli genitori.
Ritenuta dunque sussistente la legittimazione attiva della madre al pagamento del contributo di mantenimento della figlia maggiorenne con la stessa convivente, anche a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 54/06, il Giudice rigettava altresì l’eccezione di nullità inefficacia del titolo esecutivo, rilevando come lo stesso fosse stato notificato nove giorni dopo la scadenza del termine indicato nelle condizioni di separazione e prima dell’effettivo accredito della somma.
Il titolo si era quindi perfettamente e correttamente formato e l’eccezione di nullità/inefficacia andava quindi rigettata.
Ed invero, si rileva che l’omologazione giudiziale delle condizioni di separazione consensualmente concordate tra i coniugi acquista efficacia di titolo esecutivo del tutto assimilabile ad una sentenza per quanto concerne le statuizioni e gli obblighi in essa contenuti, permettendo in caso di violazione di detti obblighi l’azione esecutiva in forza del verbale di separazione e del decreto di omologazione.
Passando all’esame del merito della domanda, il giudice rilevava che, nelle more del giudizio, veniva effettuato il versamento della somma dovuta e, dichiarata cessata la materia del contendere, compensava tra le parti le spese di lite.
Rilevava infatti che l’opponente aveva dimostrato di aver provveduto alla disposizione di versamento della somma a mezzo vaglia postale entro la data indicata nel verbale di separazione, e solo un errore di trascrizione da parte dell’addetto dell’Ufficio Postale aveva causato il ritardo di accredito.
Sul punto vale la pena approfondire due considerazioni.
La prima è relativa all’inimputabilità dell’errore di trascrizione dell’indirizzo della figlia in cui è incorso l’addetto all’ufficio postale, dal quale è derivato il ritardo nell’accredito della somma.
Ed invero, il Giudice ha rilevato come l’opponente abbia positivamente provato nel corso del giudizio di aver correttamente indicato l’indirizzo di destinazione del vaglia postale, in seguito trascritto erroneamente dall’addetto alla compilazione del vaglia.
Sul punto, l’organo giudicante ha ritenuto che non possano configurarsi profili di negligenza a suo carico né possano sull’opponente ricadere le colpe di terzi.
Invero, vi è da rilevare che tale interpretazione non coincide con il disposto previsto dall’art. 1228 c.c., ai sensi del quale la responsabilità per l’inadempimento di una obbligazione ricade sul debitore ancorché l’inadempimento sia dovuto al fatto dell’ausiliario di cui il debitore si sia avvalso (8): ne consegue, quindi, che l’inadempimento dell’ausiliario del debitore (in tal caso la Posta) non lo esonera comunque mai da responsabilità nei confronti dei terzi.
Infatti, l’accordo stipulato dal debitore con un soggetto terzo, avente ad oggetto l’esecuzione della prestazione dovuta, non esclude né limita la responsabilità del debitore per inadempimento, anche quando questo sia stato determinato in via esclusiva dalla condotta del terzo (9).
In questo modo si tutela il diritto del creditore a ricevere la prestazione, in quanto quest’ultimo non ha alcun controllo né – salvo diversi accordi intercorsi tra e parti – poteri circa le modalità di adempimento della prestazione, mentre ricade sul debitore la propria scelta delle modalità di esecuzione dell’obbligazione.
Da ciò, ne deriva che tale punto potrebbe essere un valido spunto per appellare la decisione in commento, se non altro relativamente al punto in cui prevede la compensazione delle spese di lite.
Il secondo rilievo è relativo all’accertata tempestività del versamento della somma relativa al mantenimento.
L’opposta, nelle proprie deduzioni, eccepiva l’inadempimento del marito stante la tardività del versamento, eseguito nell’ultimo giorno utile a mezzo vaglia postale, il quale – anche in assenza di errore di trascrizione – non sarebbe giunto nell’effettiva disponibilità della figlia entro la data concordata nelle condizioni di separazione (appunto lo stesso giorno di disposizione del vaglia).
Il Giudice rigettava tale impostazione ritenendo rinvenibile, dal tenore testuale delle disposizioni di separazione, solamente l’obbligo dell’opponente di “versare” la somma concordata entro il 5 di ogni mese, e non già di attivarsi affinché tale somma pervenisse effettivamente nella disponibilità dell’avente diritto. Peraltro, non essendo indicate in modo preciso le modalità del versamento, le stesse devono intendersi a scelta dell’onerato, il quale correttamente ha provveduto tramite vaglia postale.
Anche in questo caso, è utile richiamare il disposto normativo relativo alle regole generali di adempimento e, in particolare di adempimento delle obbligazioni pecuniarie, per verificare la correttezza o meno di tale impostazione.
Una obbligazione pecuniaria, quale quella oggetto della sentenza in commento, può dirsi correttamente adempiuta se il debitore provvede al pagamento del dovuto nei luoghi e nei tempi concordati o, in assenza, nei luoghi e nei tempi indicati dalle regole generali dettate dalle norme di riferimento.
Nel caso in esame si rileva come sia determinato solo il tempo dell’adempimento (il giorno 5 di ogni mese) mentre nulla sia indicato relativamente al luogo o alle modalità in cui l’obbligazione debba essere adempiuta, ragion per cui si dovrà fare riferimento alle disposizioni di legge.
Ai sensi dell’articolo 1182 c.c. “l’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al momento della scadenza”, ragion per cui, ad avviso di chi scrive, la stessa non può ritenersi adempiuta con la mera disposizione di invio di vaglia postale ad opera dell’obbligato, ma solamente al momento di effettiva ricezione della somma da parte del creditore al proprio domicilio (10)
Per i motivi sopra esposti, vi è da ritenere che l’adempimento dell’opponente sarebbe stato da ritenersi comunque – anche in assenza dell’errore delle Poste – tardivo.
Occorre, inoltre, rilevare come l’organo giudicante affermi erroneamente che, in mancanza di regole pattizie circa le modalità di pagamento da utilizzarsi per l’adempimento della prestazione, l’onerato abbia libera scelta sul mezzo di pagamento da impiegarsi, con l’unico limite del rispetto temporale previsto per il relativo adempimento.
In realtà, bisogna riferirsi al fatto che comunque oggetto di obbligazione è una prestazione pecuniaria, il cui mezzo normale di adempimento è rappresentato dall’impiego di denaro contante.
Anche sotto questo aspetto, quindi, il debitore che intenda utilizzare un mezzo diverso dal denaro contante non adempie esattamente l’obbligazione, ma, al contrario, esegue una prestazione diversa da quella dovuta.
Si realizza, in sostanza, la cd datio in solutum, che produce per il debitore l’effetto liberatorio, solo dietro consenso espresso dal creditore al ricevimento della diversa prestazione, rispetto a quella originariamente pattuita.
Tale accettazione può avvenire preventivamente (ossia prima dell’esecuzione della prestazione) oppure successivamente ed anche per fatti concludenti, ossia presumendola dall’avvenuta riscossione del titolo, giunto a destinazione.
Costante giurisprudenza afferma che l’invio di un vaglia postale per effettuare un pagamento configuri un’ipotesi di datio in solutum con la conseguenza dell’applicabilità della disciplina del necessario assenso del creditore, come sopra argomentato (11).
Nel caso che ci occupa, quindi, il debitore, pur non realizzando un esatto adempimento dell’obbligazione dovuta, è da ritenersi comunque liberato dal suo obbligo, in considerazione dell’avvenuto incasso del vaglia da parte del creditore che equivale, a tutti gli effetti, ad un’accettazione della diversa prestazione, avvenuta per fatti concludenti.
Infine, si rileva come il Giudice abbia dichiarato la cessazione della materia del contendere a seguito dell’accertata percezione, da parte dell’opposta, della somma relativa al contributo di mantenimento, nulla prevedendo riguardo alle spese di precetto in quanto non oggetto di una espressa domanda da parte dell’opposta.
Nei fatti, l’avvenuto incasso del vaglia ad opera del creditore, non può determinare la cessazione della materia del contendere del giudizio di opposizione al precetto, come al contrario, ritenuto dal Giudice, né le spese di precetto necessitano, per essere rifuse, la proposizione di una esplicita e diversa domanda ulteriore rispetto al rigetto della domanda attorea, avanzata dalla convenuta.
Ed invero, dal momento in cui il Giudice abbia accertato la validità ed efficacia del precetto, rigettandone l’opposizione in quanto infondata, si deve ritenere che l’atto di precetto e l’intimazione di pagamento delle somme in esso contenute vadano ritenute dovute.
Ciò comporta che la somma dovuta dall’opponente, a seguito del rigetto della propria domanda di nullità ed inefficacia del precetto, sarà data non solo dall’importo relativo al mantenimento, bensì dal medesimo importo aumentato di tutte le altre voci relative alle attività ulteriori di formazione dell’atto di precetto, notifica, ritiro dello stesso, etc., la cui somma, riportata in calce all’atto medesimo, è l’importo effettivamente dovuto dall’intimato.
Pertanto, ne deriva che l’incasso del vaglia di importo pari al mero contributo di mantenimento non possa in alcun modo estinguere la nuova obbligazione sorta in capo al debitore in considerazione dell’avvenuta notificazione di un precetto che si è sottratto alle censure di nullità ed inefficacia, ma vada piuttosto considerata quale un mero acconto sulla maggior somma dovuta e portata in precetto.


Note

  1. La legge 08-02-2006, n. 54 recante Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli ha apportato modifiche sostanziali relative ai provvedimenti riguardanti i figli in sede di separazione personale dei coniugi. In particolare, ha sostituito il previgente articolo 155 c.c. ed introdotto gli articoli 155 bis (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso)., 155 ter (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli)., 155 quater (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza). 155 quinquies (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni). E Art. 155-sexies (Poteri del giudice e ascolto del minore).

  2. Articolo inserito dall’art. 1, comma c. 2, L. 8 febbraio 2006, n. 54; tali disposizioni si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.

  3. L’Art. 155-quinquies, comma 1, dispone: “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”.

  4. Articolo relativo alla sostituzione processuale, ai sensi del quale “Fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.

  5. Sul punto, come indicato nella sentenza in commento, vedasi Cass. n. 2289/2001, Cass. n. 8868/1998 e, più di recente, Cass. n. 21437/2007, ai sensi della quale: “Il coniuge separato o divorziato, già affidatario del figlio minorenne, è legittimato “iure proprio”, anche dopo il compimento da parte del figlio della maggiore età, ove sia con lui convivente e non economicamente autosufficiente, ad ottenere dall’altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio; ne discende che ciascuna legittimazione è concorrente con l’altra, senza, tuttavia, che possa ravvisarsi un’ipotesi di solidarietà attiva, ai cui principi è possibile ricorrere solo in via analogica, trattandosi di diritti autonomi e non del medesimo diritto attribuito a più persone”.

  6. Il secondo comma dell’art. 155 quinquies dispone: “Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.”

  7. In tal senso, Tribunale sez. I Messina, 26-04-2006 (decr.) e Tribunale Marsala, 02-03-2007;

  8. Cass. civ., sez. III 11-05-1995, n. 5150;

  9. In tema di responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari, l’art. 1228 cod. civ. postula, per la sua concreta applicabilità, l’esistenza di un danno causato dal fatto dell’ausiliario, l’esistenza di un rapporto tra ausiliario e committente (cd. rapporto di preposizione), l’esistenza, infine, di una relazione di causalità (“rectius”, di occasionalità necessaria) tra il danno e l’esercizio delle incombenze dell’ausiliario; sul punto, vedasi Cass. civ., sez. III 17-05-2001, n. 6756

  10. Cass. civ., sez. III 24-10-2007, n. 22326; Cass. civ., sez. I 07-02-2006, n. 2591.

  11. Sul punto, Cass. 23-01-2006 n.1226.

Articolo pubblicato su IL GIUDICE DI PACE – Ipsoa Editore n. 1/2009

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