Perchè lo stalking telematico è simbolo di pericolosità

La Cassazione ha ancora una volta affermato che il reato di atti persecutori si può realizzare anche in via telematica tramite messaggi sui social e WhatsApp: è stalking anche in questo caso ed è pericoloso come nel caso in cui avvenga fuori dal mondo del web, ecco spiegato perché.

stalking telematico

Il ricorso in Cassazione

Il caso finisce alla Suprema Corte a seguito dell’impugnazione dell’ordinanza del Tribunale della libertà con cui viene applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa, sussistendo i presupposti previsti dalla legge per la sua concessione, ossia i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di atti persecutori attuati con modalità telematiche (e tradizionali) e l’esigenza cautelare del pericolo della reiterazione di nuovi reati della stessa natura.

Il ricorso della difesa, puntando sull’inconsistenza dei gravi indizi di colpevolezza e sulla carenza del pericolo della commissione di nuovi reati, offre interessanti spunti di riflessione circa le caratteristiche di quest’ultimo che devono consistere nella certezza ed elevata probabilità che se il soggetto non fosse sottoposto ad alcuna misura, tornerebbe a delinquere.

Stalking telematico e pericolosità

La Cassazione con sentenza  n. 28571/2020 affrontando allora il delicato tema del pericolo afferma che lo stesso può consistere non necessariamente in un pericolo imminente, purché sia altamente probabile ed effettivo, tale da giustificare la misura cautelare adottata.

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Pericolosità da prevenire anche se non immediata

Infatti, l’attualità delle esigenze cautelari è individuata nell’elevata probabilità del pericolo, non da intendersi come “immediatezza” (o imminenza del pericolo) ma come sua effettività, essendo la misura finalizzata a scongiurare il rischio della commissione di nuovi reati, non necessariamente identici a quelli presumibilmente già realizzati ma anche della stessa specie.

Va ricordato altresì come detto giudizio di pericolosità implichi una duplice valutazione che si basa sulle specifiche modalità e circostanze del fatto, analizzando i dati obiettivamente evincibili dall’episodio criminoso in questione (elemento oggettivo) e sulla personalità dell’imputato o dell’indagato, assumendo come parametro di riferimento i suoi precedenti penali o comportamenti o atti concreti (diversi da quelli integranti il fatto – reato) indici di una sua propensione al crimine.  

Per questo motivo l’ordinanza impugnata è stata confermata avendo ritenuto concreto ed attuale, il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di cui è accusata l’imputata (messaggi WhatsApp e post Facebook) sulla base della serialità delle condotte persecutorie, estese anche alla figlia dell’ex convivente (estranea alla relazione sentimentale) e culminate in un pericoloso inseguimento con tentativo di speronamento dell’auto di quest’ultima e con l’aggressione della ex convivente.

Ricorso inammissibile

Per queste motivazioni la Cassazione con sentenza  n. 28571/2020 ritiene il ricorso inammissibile, con condanna dell’imputata al pagamento delle spese processuali.

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