Postare un commento offensivo sulla bacheca del proprio profilo Facebook è diffamazione aggravata

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte torna ad occuparsi della corretta qualificazione giuridica da attribuirsi alla condotta di colui che posta espressioni lesive dell’altrui onore, utilizzando quale mezzo di diffusione il noto social network Facebook.

L’imputato presenta ricorso in Cassazione avverso una sentenza di condanna per il delitto di cui all’art. 595 c.p. commi 1 e 3 (diffamazione aggravata) per aver offeso la reputazione dell’allora commissario straordinario della Croce Rossa Italiana, comunicando con più persone, mediante la pubblicazione sul suo profilo Facebook di alcune frasi offensive dell’altrui onore e reputazione, in alcuni casi associandole alla fotografia dell’offeso.

La Suprema Corte con sentenza della Sez. V Penale, 1° marzo 2016 n. 8328 dopo aver accertato come dette espressioni “avessero travalicato i limiti dell’ordinario diritto di critica, per sfociare in palesi offese al decoro personale” dell’offeso, richiama alcuni precedenti giurisprudenziali in materia (Cass. Pen., Sez. I, sent. 08-06-2015 n. 24431 oggetto di commento in mio precedente articolo https://www.iltuolegale.it/postare-un-commento-offensivo-sulla-bacheca-facebook-altrui-e-diffamazione-a-mezzo-stampa/) secondo cui risulta ormai pacifico che il reato di diffamazione possa essere commesso a mezzo internet e come “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso la bacheca “facebook” integri un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 comma terzo”.

In sostanza, il mezzo usato viene ritenuto idoneo per raggiungere un numero indeterminato di persone, comunque apprezzabile per composizione numerica e pertanto quando il commento è lesivo dell’altrui onore e reputazione, integra il reato di diffamazione aggravata, senza alcuna differenza rispetto a quello che sarebbe accaduto nel caso in cui dette espressioni fossero state diffuse con il mezzo della stampa (quotidiani, periodici ecc.).

Per tali motivi, conclude la Corte, bene ha fatto il Giudice di primo grado a qualificare la condotta dell’imputato quale diffamazione aggravata e pertanto il ricorso va respinto con conferma della sentenza impugnata.

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avvocato penalista