Disconoscimento della paternità e irrilevanza della prova dell’adulterio

L’’azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è disciplinata all’’articolo 235 c.c.. Secondo questa norma, “l’azione è esperibile solo nei seguenti casi:
1. se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo giorno ed il centottantesimo giorno prima della nascita;
2. se durante il predetto tempo il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;
3. se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuta celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità”.

Hai fini del disconoscimento della paternità per adulterio della moglie, dunque, per esperire l’azione di disconoscimento della paternità l’’attore doveva provare, da un lato, l’’adulterio della moglie e, dall’’altro anche che il figlio presentava caratteristiche genetiche e del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre. Dar prova dell’’adulterio, nella maggior parte dei casi, risultava estremamente difficile se non impossibile soprattutto perchè a tal fine non si potevano utilizzare le prove immunogenetiche di incompatibilità fra figlio e marito della madre, con conseguente rigetto della domanda di disconoscimento. La Corte Costituzionale riconoscendo l’’illegittimità costituzionale della norma, con sentenza del 6 luglio 2006 n. 266, ha dichiarato l’’illegittimità dell’articolo 235 nella parte in cui subordina l’esame delle prove ematologiche alla previa dimostrazione dell’’adulterio della moglie.
A seguito di detta sentenza della Corte Costituzionale, il giudice di merito adito in una causa diretta al disconoscimento di paternità, deve procedere agli accertamenti genetici anche in mancanza della dimostrazione dell’’adulterio.
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul caso in esame, con la sentenza n. 4175 del febbraio 2007, ha rilevato che: “La Corte Costituzionale con sent. 06.07.2006 n. 266 ha dichiarato illegittimo l’art. 235 c.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche da cui risulta che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.
Tale decisione è derivata dalla presa d’atto della Consulta del diritto vivente (Cass. 14887/2002; 8887/1998; 2113/1992, tra le altre) che non consentiva differenti soluzioni interpretative, secondo cui la indagine sul verificarsi dell’adulterio ha carattere preliminare rispetto a quella della sussistenza o meno del rapporto procreativo, con la conseguenza che la prova genetica o ematologia, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, può essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest’ultima e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda; con la ulteriore conseguenza che in difetto di prova dell’adulterio, anche in presenza della dimostrazione che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, l’azione di disconoscimento della paternità deve essere respinta.
La pronunzia intervenuta nel corso di questo giudizio di legittimità consente l’accoglimento del ricorso, avuto riguardo alla ragione della decisione impugnata e cioè all’ostacolo – ora rimosso – costituito dall’esigenza, nella specie rimasta insoddisfatta, che fosse raggiunta la prova dell’adulterio della madre nel periodo compreso tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita del figlio.
Ha infatti ritenuto la corte di merito che la ammissione dell’onerato alla utilizzazione immediata delle indagini ematologiche e genetiche, a fini sostanzialmente esplorativi della situazione di adulterio, avrebbe portato ad incrinare il punto di equilibrio tra favor legitimitatis e favor veritatis stabiliti, anche nell’interesse preminente del figlio, dal legislatore nell’ambito della sua discrezionalità politica; ed ha escluso di poter attagliare al caso in esame la linea interpretativa maturata nell’ambito, oggettivamente distinto, della dichiarazione giudiziale della paternità naturale, con particolare riferimento al diniego delle persone interessate a sottoporsi agli accertamenti ematici e genetici ed agli argomenti che possono indursene ex art. 116 c.p.c., posto che in quel caso il principio della libertà di prova con ogni mezzo (art. 269 c.c., comma 2), quando sia ammesso il riconoscimento, che pure trova riscontro nella seconda parte dell’art. 235 c.c., comma 1, n. 3 non può sopprimere la necessità che la valutazione del quadro probatorio, in cui il comportamento processuale delle parti può costituire argomento di prova ai sensi dell’art. 116 citato, segua l’accertamento dell’adulterio”.

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Avv. Francesca Zambonin
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