Tutela economica in caso di tardività della contestazione disciplinare

licenziamento

L’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori dispone che “il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa”.

Da tale disposizione, deriva il principio di “tempestività” della contestazione dell’infrazione disciplinale.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, di recente, ha affrontato l’importante questione dell’individuazione della tutela applicabile in caso di “tardività” della contestazione disciplinare per fatti ricadenti nella previsione dell’art. 18 della Legge n.300/1970, come riformato dalla c.d. Legge Fornero.

L’intervento delle Sezioni Unite si è reso necessario in quanto alcuni Giudici avevano riconosciuto a favore del lavoratore licenziato il pagamento di una somma di denaro mentre altri avevano ritenuto di poter ordinare la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, anche nella vigenza del novellato art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

I Giudici delle Sezioni Unite risolvono la diatriba giurisprudenziale ritenendo applicabile al caso di tardività della contestazione disciplinare la tutela prevista al quinto comma dello stesso art.18 del novellato Statuto dei Lavoratori, ossia l’indennizzo di una somma omnicomprensiva determinata da un minimo di 12 ad un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Ed infatti, a parere dei Giudici, il principio della tempestività della contestazione risiede in esigenze più importanti del semplice rispetto delle regole di natura procedimentale, vale a dire nella necessità di garantire al lavoratore una difesa effettiva e di sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare e tutelare l’affidamento che il lavoratore fa, allorquando il datore di lavoro faccia trascorrere del tempo dall’infrazione disciplinare senza comminare alcuna sanzione, alla rinuncia di quest’ultimo ad esercitare il potere disciplinare.

Pertanto, se da una parte rileva l’interesse del datore di lavoro al funzionamento complessivo dell’impresa, dall’altra il datore di lavoro è tenuto all’osservanza di quei fondamentali precetti che presiedono all’attuazione dei rapporti obbligatori e contrattuali e che sono scolpiti negli artt. 1175 e 1375 c.c. vale a dire ai principi di correttezza e buona fede.

Quindi, se il datore di lavoro viola tali doveri, ritardando oltremodo e senza un’apprezzabile giustificazione la contestazione disciplinare, la conclusione non può essere che l’applicazione della tutela indennitaria c.d. forte, ex art. 18, comma 5, del novellato Statuto dei Lavoratori.

Occorre, comunque, precisare che la legge non stabilisce un termine entro il quale il datore di lavoro deve contestare l’infrazione disciplinare al lavoratore: l’immediatezza è, infatti, da intendersi in senso relativo, ossia tenendo conto delle ragioni che possono ritardare l’accertamento e la valutazione dei fatti contestati da parte del datore di lavoro.

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