Il rilascio dell’immobile locato ad uso abitativo

Il proprietario di un immobile concesso in locazione a fini abitativi spesso si pone il problema di ricercare le possibili cause che possono giustificare lo scioglimento del vincolo contrattuale ed il conseguente reintegro nel possesso dell’immobile.
I casi più ricorrenti sono quelli dell’inadempimento del conduttore il quale, non ottemperando al puntuale pagamento dei canoni e/o degli oneri accessori, consente al locatore di promuovere azione di sfratto per morosità oppure la cessazione di validità per il raggiungimento della scadenza indicata in contratto.
Altra ipotesi ricorrente è quella dell’esercizio da parte del conduttore della facoltà di recesso, se prevista contrattualmente, ai sensi dell’art. 4 della L. 392/78.
Qualora però i presupposti sopra menzionati non si realizzino, ossia il conduttore non è moroso nel pagamento del canone e degli oneri accessori ed non ha alcuna intenzione di lasciare l’immobile, al locatore che intenda riacquistare la disponibilità dello stesso non rimane che attendere la prima scadenza quadriennale, sperando di trovarsi in una delle situazioni espressamente e tassativamente indicate nell’art. 3 della L. 431/98.
Detto articolo, sulla falsa riga di quanto era già previsto dall’art. 29 della L. 392/78 per le locazioni ad uso diverso dall’abitazione, introduce la facoltà di disdetta del contratto da parte del locatore che può essere esercitata solo ricorrendo una delle ipotesi indicate ossia (tra le più frequenti): “quando il locatore intenda destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti di secondo grado; quando l’immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba essere assicurata la stabilità e la permanenza del conduttore sia di ostacolo al compimento di indispensabili lavori; quando l’immobile si trovi in uno stabile del quale è prevista l’integrale ristrutturazione, ovvero si intenda operare la demolizione o la radicale trasformazione per realizzare nuove ostruzioni, ovvero, trattandosi di immobile sito all’ultimo piano, il proprietario intenda eseguire sopraelevazioni a norma di legge e per eseguirle sia indispensabile per ragioni tecniche lo sgombero dello stesso; quando, senza che si sia verificata alcuna legittima successione nel contratto, il conduttore non occupi continuamente l’immobile senza giustificato motivo; quando il locatore intenda vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione.”
Al verificarsi di una delle suddette condizioni, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto (che diversamente verrà prorogato per altri 4 anni) dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno sei mesi.
È opportuno, innanzitutto, analizzare la natura giuridica della suddetta comunicazione chiamata più comunemente disdetta.
Questa costituisce un atto negoziale unilaterale e recettizio ed è espressione di un diritto potestativo attribuito ex lege al locatore che si concretizza nella volontà diretta ad impedire la prosecuzione o la rinnovazione tacita del rapporto locativo.
Occorre soffermarsi sui necessari contenuti che detta comunicazione dovrà avere per essere pienamente valida ed efficace.
La stessa non potrà avere dei contenuti generici ma dovrà specificare il motivo preciso (tra quelli tassativamente previsti dalla legge) sul quale la disdetta è fondata.
Infatti, detta comunicazione svolge non solo la finalità di consentire al conduttore di verificare preventivamente la legittimità della pretesa per essere compresa tra quelle legali ma anche di effettuare il “controllo postumo” ossia verificare che dopo l’avvenuto rilascio l’immobile sia stato effettivamente destinato all’uso specificato nella dichiarazione del locatore.

Sul punto si segnala una recentissima sentenza della Cassazione – Cass. Civ. sez. III, sentenza 16-01-2013 n. 936 – che infatti sul punto afferma che:
“Tale norma deve essere intesa nel senso che essa impone una specificazione precisa ed analitica della situazione dedotta, con riguardo alle concrete ragioni che giustificano la disdetta, in modo da consentire, in caso di controversia, la verifica della serietà e della realizzabilità della intenzione dedotta in giudizio e, comunque, il controllo, dopo l’avvenuto rilascio, circa la effettiva destinazione dell’immobile all’uso indicato nella ipotesi in cui il conduttore estromesso reclami l’applicazione delle sanzioni previste a carico del locatore dall’art. 3 della stessa legge”.
La giurisprudenza citata afferma inoltre che non è consentita l’indicazione cumulativa di una pluralità di destinazioni dell’immobile, stante l’inammissibilità di un cambiamento successivo rispetto a quanto indicato nella comunicazione.
Si stabilisce, altresì, che la facoltà di diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza deriva direttamente dalla legge e che, pertanto, non richiede l’ulteriore requisito dell’espressa previsione in contratto.
Pertanto, proprio in ragione della natura di detta facoltà, non si può ritenere che la mancata menzione della stessa, costituisca una rinunzia implicita, non potendo, il silenzio serbato dalle parti essere qualificato come un comportamento incompatibile con l’esercizio di una facoltà derivante dalla legge.

Secondo Giurisprudenza – Cass. Civ. Sez., III 7-01-2011 n. 263 – qualora la comunicazione sia generica, ossia non indichi il preciso motivo per il quale si intenda negare la prosecuzione del contratto oppure il motivo non è tra quelli tassativi previsti dalla legge, la stessa sarà affetta da nullità.
Ma detta circostanza, secondo la regola della conversione dell’atto nullo, non impedisce che la comunicazione sia valida per la seconda scadenza contrattuale (non essendo in quel caso richiesto che sia motivata).
Qualora l’ex conduttore, costretto al rilascio dell’immobile, constati che l’unità immobiliare dallo stesso precedentemente occupata non sia stata destinata allo scopo dichiarato nella dichiarazione, si realizza un’ipotesi di illegittimo esercizio della facoltà di disdetta ed il locatore potrà essere sanzionato ai sensi dell’art. 3 della L. 431/98.
La suddetta normativa attribuisce per l’ex conduttore la scelta tra una tutela reale, con “diritto al ripristino del rapporto di locazione alle medesime condizioni di cui al contratto disdettato” ed una tutela risarcitoria “da determinarsi in misura non inferiore a trentasei mensilità dell’ultimo canone di locazione”.
Nel caso di mancato ottemperamento spontaneo da parte del locatore, andrà promosso un giudizio apposito con cui, una volta accertata la responsabilità del locatore si ottenga la condanna di quest’ultimo al ripristino del rapporto contrattuale o, in alternativa, al risarcimento del danno.
Al fine di ottenere l’accoglimento della domanda risarcitoria va ricordato che le sanzioni previste non sono ricollegate ad un criterio di responsabilità oggettiva, ma andrà provata almeno la colpa del locatore e pertanto non saranno applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile sia giustificata da fatti impeditivi ed imprevedibili, non imputabili al locatore.
Da un punto di vista dell’onere della prova, vige sul punto una presunzione di colpa a carico del locatore al quale spetterà fornire rigorosa prova liberatoria ossia dimostrare la sussistenza di una circostanza che abbia impedito o ritardato l’utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio.

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