Sciogliere un contratto senza ricorso al Giudice

Alla risoluzione del contratto può giungersi per due vie alternative tra loro: tramite risoluzione giudiziale o risoluzione di diritto.

La risoluzione giudiziale si attua mediante una sentenza del giudice con cui viene dichiarato lo scioglimento del vincolo contrattuale, una volta accertato l’inadempimento rilevante ed addebitabile ad una delle parti.

I medesimi effetti si producono senza ricorrere all’Autorità Giudiziaria con la risoluzione di diritto, che si può ottenere in tre modi:

  1. mediante invio al debitore di una diffida ad adempiere;
  2. con l’introduzione nel contratto di una clausola risolutiva espressa;
  3. con la scadenza del termine essenziale previsto in contratto.

Tuttavia, in caso di risoluzione di diritto ed in presenza di contestazione di una delle parti (per esempio della parte diffidata circa l’effettiva sussistenza dell’inadempimento o la sua imputabilità) il ricorso al Giudice sarà, anche in questo caso, inevitabile in quanto dovrà accertarsi la sussistenza dei presupposti di legge per poter giungere alla dichiarazione di risoluzione del contratto.

Le risoluzioni di diritto costituiscono un modo assai frequente di scioglimento del vincolo contrattuale raggiungibile senza intervento del Giudice purché tra le parti non sorgano contestazioni.

Concentrando l’attenzione sulla diffida ad adempiere, si può affermare che la stessa consiste in una dichiarazione con cui la parte adempiente invita quella responsabile dell’inadempimento ad effettuare l’adempimento entro un congruo termine, avvisandola fin da subito che l’inutile decorso dello stesso comporterà la risoluzione di diritto del contratto.

Pertanto, in caso di diffida ad adempiere alla parte diffidata viene data la facoltà di sanare detto inadempimento (entro il termine fissato che per legge non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione tra le parti o salvo che per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore) o di persistere nell’inadempimento.

Solo nella prima ipotesi il vincolo contrattuale viene conservato.

Questa possibilità di sanare l’inadempimento è invece preclusa nel caso di risoluzione giudiziale laddove, una volta notificato l’atto di citazione non è più possibile per il debitore porre rimedio al proprio inadempimento.

I presupposti che devono essere riscontrati per rendere applicabile il meccanismo della risoluzione stragiudiziale in caso di diffida ad adempiere sono:

  • l’assenza dell’inadempimento da parte del diffidante;
  • l’imputabilità dell’inadempimento per dolo o colpa al diffidato;
  • la non scarsa importanza dell’altrui inadempimento.

Su questo ultimo punto si registra un contrasto giurisprudenziale tra pronunce della Suprema Corte che creano due orientamenti tra loro contrapposti.

Il primo afferma che tra i presupposti che devono essere accertati affinchè si produca lo scioglimento del vincolo contrattuale vada considerato anche quello della non scarsa gravità dell’inadempimento oggetto di diffida che dovrà essere verificato “anche d’ufficio dal giudice, trattandosi di elemento che attiene al fondamento stesso della domanda, deve essere accertata non solo in relazione alla entità oggettiva dell’inadempimento, ma anche con riguardo all’interesse che l’altra parte intende realizzare e sulla base di un criterio, quindi, che consenta di coordinare il giudizio sull’elemento oggettivo della mancata prestazione, nel quadro dell’economia generale del contratto, con gli elementi soggettivi e che, conseguentemente, investa, specie nei casi di inadempimento parziale, anche le modalità e le circostanze del concreto sviluppo del rapporto, per valutare se l’inadempimento in concreto accertato abbia comportato una notevole alterazione dell’equilibrio e della complessiva economia del contratto, e l’interesse dell’altra parte, quale è desumibile anche dal comportamento di questa, all’esatto adempimento nel termine stabilito (Cass. Civ. 28-03-1995 n. 3669; Cass. Civ. 21-02-2006 n. 3742 e da ultimo Cass. Civ. 6-03-2012 n. 3477).

Il secondo orientamento espresso invece da Cass. Civ. Sez. II 17-08-2011 n. 17337, consente di conseguire la risoluzione del contratto senza preoccuparsi di accertare l’effettiva gravità dell’inadempimento.

Detta pronuncia in sostanza parifica la diffida ad adempiere alle altre ipotesi di risoluzione di diritto (clausola risolutiva espressa e termine essenziale) per le quali la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento diviene superflua in quanto sono le stesse parti che individuano al momento della formazione del contratto quali obbligazioni risultano essere rilevanti per l’economia del contratto a tal punto che dal loro inadempimento possa discendere la risoluzione del contratto.

Detta decisione non convince del tutto in quanto occorre osservare come il silenzio della legge in materia di diffida ad adempiere non possa essere interpretato come inapplicabilità.

Ed inoltre dalla suddetta parificazione deriverebbero effetti devastanti per la stabilità del vincolo contrattuale e dei suoi effetti, aprendo la strada a comportamenti del tutto pretestuosi, suscettibili di conseguire lo scioglimento del vincolo anche dinnanzi ad inadempimenti di scarsa importanza o ad inesatti inadempimenti laddove la discrasia tra il dovuto ed il realizzato assuma caratteri del tutto trascurabili.

Per tali motivi può essere preferita la tesi maggioritaria secondo cui anche in presenza della diffida ad adempiere in caso di contestazioni e di ricorso al Giudice spetti a quest’ultimo valutare la sussistenza del requisito della non scarsa importanza dell’inadempimento, prima di poter pronunciare sentenza dichiarativa di risoluzione del contratto.

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Risoluzione giudiziale, risoluzione di diritto

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